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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2015 alle ore 15:58.
L'ultima modifica è del 12 gennaio 2015 alle ore 20:37.

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La storica foto della grande marcia di Parigi rischia di diventare già un’istantanea un po' ingiallita e negli archivi di Oltreatlantico sarà archiviata senza neppure la presenza di un leader americano. Dov’era Obama ieri? Se lo chiedono anche la Cnn e tutta la stampa americana con punte di risentita polemica.

Non c'era il Presidente, non c'era il segretario di Stato John Kerry, che pure nel giorno del massacro a Charlie Hebdo aveva pronunciato un discorso bello e commovente utilizzando per la prima volta in un'occasione ufficiale la lingua francese. Anche se per dovere di cronaca bisogna sottolineare che Kerry oggi è in Pakistan proprio per discutere della strategia anti-terrorismo, nello stesso giorno in cui a Peshawar riapre la Army Public School dove il 16 dicembre scorso i talebani hanno fatto strage di oltre 150 giovanissimi studenti.

Alle critiche per non aver partecipato alla marcia, Kerry ha risposto: «Credo veramente si tratti di polemiche futili, visto che Victoria Nuland (responsabile degli affari europei ed euroasiatici per il dipartimento di Stato) era lì e ha marciato la nostra ambasciatrice Jane Hartley». Ma la singora Nuland per la verità ha partecipato a una marcia a Washington, non a Parigi.

Era assente anche il vicepresidente Joe Biden, noto gaffeur che viene inviato sempre meno volentieri all'estero. Non è chiaro, che cosa abbia impedito ai vertici degli Stati Uniti di unirsi ai leader europei e mondiali per manifestare la loro solidarietà alla Francia. Ma cosa ancora più sorprendente è che alla marcia non c'era nemmeno il ministro di Giustizia, Eric Holder, che pure era presente al summit antiterrorismo che si era svolto a Parigi soltanto un'ora prima della manifestazione di Place de la Republique. L'unica partecipazione americana ufficiale dunque è stata quella dell'ambasciatrice Hartley, un livello di rappresentanza di solito riservato ai Paesi emergenti o marginali.

A pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca, diceva il Cardinale italiano Mazzarino che servì Luigi XIV e coniò un un detto reso celebre da noi qualche secolo dopo da Giulio Andreotti, non troppo amato dalle parti di Washington proprio per i suoi rapporti con il mondo arabo e con l'Iran.

In realtà degli americani, dopo il disastro di Bush junior e della guerra in Iraq del 2003, non hanno anno nessuna intenzione di avviare una Seconda Guerra al terrorismo. Troppi problemi, troppi guai. È vero che guidano la coalizione internazionale contro il Califfato in Siria e in Iraq, ma per ora non sembrano intenzionati a mettere il piede a terra o partecipare ad altre missioni militari come in Libia, sia pure sotto l'ombrello delle Nazioni Unite. Gli americani in Iraq hanno schierato duemila consiglieri e le truppe speciali -hanno persino tentato di liberare il pilota giordano abbattuto dall'Isil - ma intendono gestire la situazione, senza farsi troppo coinvolgere, insieme a una compagnia di alleati ambigui come arabi e turchi. Stanno negoziando con Ankara l'addestramento del New Army siriano che dovrebbe essere lanciato alla riconquista del Nord della Siria e questo appare sufficiente. Almeno per il momento, poi si vedrà.

Ma la Francia e l'Europa devono anche farsi un esame di coscienza. È impossibile avere un ruolo attivo nel mondo dei giganti della politica e dell'economia senza una politica estera e di difesa comune. Oppure vogliamo sempre aspettare che arrivino gli americani?

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