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Questo articolo è stato pubblicato il 19 gennaio 2015 alle ore 12:50.
L'ultima modifica è del 19 gennaio 2015 alle ore 16:26.

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Le riprese dall’alto dei droni di Armja SoS, un gruppo che appoggia l’esercito ucraino, documentano ciò che è diventato l’aeroporto di Donetsk, il Serghej Prokofjev rimesso a nuovo per i lontani Campionati europei del 2012. Da terra, invece, sono le immagini trasmesse dalle televisioni russe a dare l’idea dell’inferno di macerie, nebbia e fuoco che si è impossessato di questo quartiere conteso tra le forze ucraine e i separatisti. In mezzo passa la linea che avrebbe dovuto separare i due campi, per far partire da qui gli accordi di pace di Minsk del settembre scorso. In realtà, per entrambi il controllo dell’aeroporto di Donetsk è cruciale, rafforza le rispettive posizioni nella composizione futura del conflitto. Così, tra quel che è rimasto dei terminal e delle piste del Prokofjev, lontano da un mondo un po’ stanco di preoccuparsi per l’Ucraina, la guerra è riesplosa.

I portavoce militari di Kiev ammettono che i combattimenti sono ancora in corso, ma affermano di aver ripreso il controllo di buona parte dell’aeroporto su cui, nei giorni scorsi, erano i separatisti di Donetsk ad aver alzato la propria bandiera. Trentacinque attacchi nella notte contro le posizioni ucraine, denuncia Leonid Matjukin, in questa operazione “di pulizia”, come la definisce, che secondo Kiev non viola gli accordi di Minsk perché si svolge all’interno della zona attribuita ai governativi. “Non gli lasceremo l’aeroporto - ha detto il portavoce Andriy Lysenko -. È sotto il nostro controllo”. Nelle ultime 24 ore gli ucraini riferiscono la morte di almeno tre soldati, il ferimento di altri 66.

I miliziani della Repubblica popolare di Donetsk spiegano invece di aver respinto con successo gli assalti nemici, e accusano il governo ucraino di aver fatto riesplodere la guerra. Che, testimoniano gli abitanti della martoriata città, è tornata ad avvicinarsi al centro, dove vengono registrate esplosioni sempre più violente. È nel centro della città un ospedale che - secondo fonti separatiste - sarebbe stato colpito lunedì pomeriggio dall’artiglieria governativa, lasciando sei feriti: un medico e cinque pazienti. Colpita, senza fare vittime, anche l’università vicina. A loro volta, gli ucraini denunciano l’arrivo di centinaia di truppe dalla Russia, in aiuto alle forze separatiste: in 700 avrebbero attraversato il confine lunedì mattina.

Nei villaggi e nelle città dell’Ucraina la gente vive nell’incubo della chiamata al fronte, pena il carcere. Il presidente Petro Poroshenko ha firmato ieri la legge sulla parziale mobilitazione. Eppure a Kiev, sul Maidan, domenica si è manifestato per la pace, alla presenza del presidente Petro Poroshenko. “Je suis Volnovakha”, avevano scritto in tanti, imitando Parigi e pensando ai 12 civili rimasti uccisi la settimana scorsa nell’Est, a bordo di un autobus colpito secondo Kiev dai separatisti, e secondo questi ultimi finito sopra una mina. Ma intanto tra Mosca e Kiev nelle ultime ore hanno iniziato a intrecciarsi segnali di richiamo alla ripresa dei negoziati. Vladimir Putin ha inviato a Poroshenko una lettera che propone di far ritirare a entrambi i contendenti tutta l’artiglieria pesante: proposta che Poroshenko avrebbe respinto, invitando però la Russia a riprendere in mano gli accordi di Minsk e a garantire un cessate il fuoco, a partire da oggi.

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