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Questo articolo è stato pubblicato il 19 gennaio 2015 alle ore 19:00.
L'ultima modifica è del 19 gennaio 2015 alle ore 19:11.

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(Epa)(Epa)

Da alcuni anni al-Qaeda lo ha eletto sua roccaforte, creando nelle regioni desertiche orientali i suoi nuovi campi di addestramento. Nel sud i gruppi secessionisti attaccano le truppe governative con cadenza settimanale. Infine la minaccia più insidiosa, la rivolta della comunità sciita degli Houti. Da quando, in settembre, le loro agguerrite milizie hanno lanciato l'offensiva contro il Governo, l'avanzata è stata inarrestabile. In pochi giorni sono riuscite ad uscire dal loro tradizionale territorio, la regione nordoccidentale di Sadaa, fino conquistare quartieri centrali e strategici della capitale Sana'a, costringendo il Governo sunnita a un compromesso.

Mai come oggi il turbolento Yemen sembra sull'orlo di una guerra civile aperta. L'escalation avvenuta negli ultimi giorni ha toccato il culmine questa mattina, con violenti scontri nella capitale che non hanno risparmiato neppure il palazzo del presidente Abed Rabbo Mansur Hadi, l'uomo succeduto, nel 2012, ad Abdullah Saleh, il dittatore, presidente quasi a vita del Paese, che governava in Yemen sin dal 1978, spodestato dalle rivolte popolari e dimessosi grazie alla mediazione dell'Arabia Saudita.

Cosa ha spinto i ribelli sciiti, accusati di intrattenere pericolose relazioni con l'Iran, a riprendere le armi? Perché sabato scorso è stato rapito il capo di gabinetto del presidente Hadi, Ahmed Awad bin Mubarak? Il sequestro era stato fin da subito attribuito alle milizie sciite per un preciso motivo, accusano i filogovernativi: bloccare una bozza di Costituzione invisa agli sciiti perché avrebbe diviso il Paese in sei regioni: una sorta di federalizzazione, con gli sciiti “relegati” nel Nord, i secessionisti nel Sud e le aree ricche di petrolio del centro in mano sostanzialmente alle tribù sunnite. Un quadro considerato gradito alla leadership saudita, che appoggia il Governi di Sana'a e vede come il fumo negli occhi le milizie Houti nella capitale.

Lo strategico ma povero Yemen sarebbe dunque vittima di un “grande gioco” tra due acerrimi nemici che si contendono il ruolo di potenza regionale del Golfo Persico: l'Arabia Saudita e l'Iran. La potenza del mondo sunnita e quella dell'universo sciita, già impegnate su altri teatri di guerra, tra cui Siria e Iraq.

Il ministro yemenita dell'Informazione, Nadia al Sakkaf non ha esitato a parlare di colpo di Stato. Accuse respinte dagli Houti che a loro volta avrebbero chiesto al presidente “il ricorso all'aviazione militare per bombardare le postazioni delle milizie sunnite” nella ricca regione petrolifera di Maareb, dove da sempre fanno il bello e il cattivo tempo delle potenti tribù sunnite, spesso avverse anche al Governo. La richiesta degli sciiti ha subito innescato la replica delle stesse milizie sunnite chiamate in causa, che hanno minacciato di tagliare l'acqua e l'elettricità alla capitale in caso di attacco.

Ma in un Paese caotico come lo Yemen tutte questi annunci e indiscrezioni devono essere prese con il beneficio del dubbio. Anche le preoccupanti notizie che arrivano da Aden, seconda città del Paese: secondo testimoni locali in città ci sarebbe una presenza senza precedenti di forze di sicurezza.

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