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Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2015 alle ore 13:48.

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Un uomo che ha perso il senno, che scaglia la sua furia omicida contro i passeggeri di un bus e armato di coltello colpisce all'impazzata chiunque gli capiti a tiro. A prima vista, l'attentato di questa mattina a Tel Aviv potrebbe sembrare il gesto di un folle. Eppure ci sono molte indicazioni che suggeriscono un pista diversa. Probabilmente si è trattato di lupo solitario, un dei tanti che hanno affollato le cronache dei media israeliani negli ultimi mesi.

Lupi solitari, jihadisti fai a te, terroristi della porta accanto. Le definizioni sono numerose per cercare di descrivere un fenomeno che si è ripetuto troppe volte nelle città israeliane, soprattutto a Gerusalemme. Da settembre la città Santa è il teatro di una lunga serie di attacchi terroristici che stanno seminando un senso di insicurezza nei cittadini ebrei, generando a volte diffidenza nei confronti degli arabi israeliani - ormai più di un milione su una popolazione di sei milioni - e degli oltre 250mila palestinesi di Gerusalemme Est che, dopo al guerra del 1967, hanno ottenuto la carta d'identità israeliana e la possibilità di circolare liberamente in Israele, ma non la cittadinanza: i cosiddetti “arabi blu” .

La nuova stagione del terrore è iniziata in settembre dopo l'operazione militare israeliana contro la Striscia di Gaza. Una serie di attacchi spesso attribuiti dalla polizia israeliana ad attentatori che agiscono in autonomia con motivazioni nazionaliste e religiose sulla spinta dell'emulazione o dell'incitamento.

I lupi solitari sono spesso cani sciolti. Pericolosi “dilettanti”, meno letali militarmente rispetto ai jihadisti addestrati ma disposti a emulare i crimini efferati dell'Isis e dell'estremismo islamico. Sono una minaccia grave e imprevedibile, perché quasi invisibili per l'intelligence e le forze di sicurezza.
La descrizione dei principali attentati non è un inutile e macabro elenco. Permette di comprendere la portata del fenomeno e le modalità di queste folli azioni.

Il 4 agosto Mohammed Naif Jaabis, 23 anni, di Gerusalemme Est, si lancia con un trattore contro un autobus di linea uccidendo un uomo di 29 anni. Il 23 ottobre è stata la volta di Abdel al-Shaloodi, 20 anni, di Gerusalemme Est; investe con un auto un gruppo di pedoni in attesa del tram, uccidendo una bambina di tre mesi e un ragazzo di 22 anni. Sei giorni dopo Muataz Hijazi, 32 anni di Gerusalemme Est, spara all'attivista di estrema destra Yehuda Glick, ferendolo gravemente. Il 5 novembre Ibrahim al-Akkari, 38 anni di Gerusalemme Est, investe con un auto alcune persone in attesa del tram, uccidendo un militare e un 17enne. Cinque giorni più tardi Nur Adin Hashiye, 18 anni di Nablus, simpatizzante di Hamas, uccide a coltellate un soldato a Tel Aviv. Poche ore dopo Nasher Hashalamun, 30 anni di Hebron, accoltella a morte una 26nne alle porte di Gerusalemme.

Il 18 novembre il terribile attacco alla sinagoga a Kehilat Yaakov nel sobborgo ultraortodosso di Har Nof, alla periferia occidentale di Gerusalemme, quando due cugini residenti in un quartiere arabo di Gerusalemme Est, Ghassan e Uday Abu Jamal, uccidono a colpi di ascia quattro rabbini e un poliziotto per poi venire eliminati dalle forze di sicurezza accorse sul luogo.

Difficile spiegare l'origine di questa escalation. C'è chi punta il dito contro la propaganda dell'Isis. È una possibile pista, per quanto i jihadisti partiti dallo Stato Israeliano per arruolarsi nelle file dello Stato islamico siano tutto sommato pochi, molto meno di quelli europei. C'è chi invece individua la causa nel senso di frustrazione che sta vivendo la popolazione palestinese nei Territori Occupati, in balia di una crisi economica e politica che non sembra avere fine (l'attentatore di oggi veniva dalla turbolenta città palestinese di Tulkarem). Chi, invece, non esita ad accusare Hamas. Il movimento islamico che controlla la Striscia di Gaza ha subito elogiato il folle attentato di questa mattina definendolo «eroico e coraggioso». Ma la sua capacità di orchestrare, organizzando nei dettagli, un attentato a Tel Avivi con un comando armato è stata ridimensionata e comunque sarebbe insolito che Hamas pianifichi direttamente un attacco all'arma bianca, condotto da un solo uomo, potenzialmente molto meno letale rispetto all'uso di kamikaze o individui con armi da fuoco.

Più di qualcuno, infine, apre un'altra pista: l'incubo di una terza Intifada incombe su Israele.

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