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Questo articolo è stato pubblicato il 02 febbraio 2015 alle ore 06:48.
L'ultima modifica è del 03 febbraio 2015 alle ore 07:23.

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(Afp)(Afp)

Comincia per la Grecia e per l'Europa la settimana del realismo. Dopo che nei giorni scorsi ognuno si è sforzato soprattutto di marcare il proprio territorio per dare maggior peso alle posizioni negoziali di partenza, la missione di Alexis Tsipras, ieri a Nicosia, oggi a Roma e Bruxelles e mercoledì a Parigi dirà molto di più sulla distanza che separa Atene dai creditori e soprattutto quali sono i margini di un compromesso sul debito e sul piano di bail-out, che scade a fine mese.

L’incontro a Parigi tra il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis e il collega francese Michel Sapin, è stato un primo assaggio di questa offensiva diplomatica e si è concluso almeno con parole confortanti e segnali di buona volontà: «Aiuteremo Atene a raggiungere un accordo con i partner europei e a restare nell’euro», ha assicurato Sapin.

Partito nel giorno della vittoria e in quelli immediatamente successivi con dichiarazioni roboanti - alle quali le istituzioni e alcuni governi europei hanno in verità risposto schiacciando il solito “messaggio preregistrato” sul rispetto degli impegni presi - il nuovo premier greco ha assunto nelle ultime ore un tono più conciliante sgombrando il campo da un paio di dubbi che erano diventati assillanti per la comunità finanziaria internazionale.

Il primo dubbio riguarda le scadenze più a breve termine del rimborso del debito, in particolare quelle relative al Fondo monetario internazionale (11 miliardi di dollari quest'anno) e alla Banca centrale europea (sei miliardi di euro tra luglio e agosto). Tsipras venerdì ha assicurato che tali impegni saranno onorati, anche se ha omesso di precisare in che modo, vista l'ostinazione a voler uscire dal programma di bail-out. Come ha scritto Alessandro Merli sul Sole 24 Ore del 28 gennaio Fmi e Bce sono parti intoccabili del negoziato, a meno che la Grecia non voglia diventare un paria della comunità finanziaria internazionale, nel caso di mancato rimborso al Fondo, oppure voglia davvero rischiare di uscire dalla moneta unica non pagando l'istituto di Francoforte, l'equivalente di un default.

Tsipras sa benissimo che per tenere in piedi uno scricchiolante sistema bancario nazionale, dove i risparmiatori nelle ultime settimane hanno ritirato dai depositi risorse al ritmo di un miliardo al giorno, ha bisogno della Banca centrale europea. E' quest'ultima infatti a decidere se continuare ad erogare o meno la liquidità d'emergenza attraverso il fondo Ela gestito dalla Banca nazionale greca. Il membro del Consiglio Bce, il finlandese Erkii Liikanen, ha fatto capire che questo rubinetto potrebbe essere chiuso in caso di uscita di Atene dal programma di aiuti concordato a suo tempo con la troika. Così come non potrebbe beneficiare dell'annunciato programma di Quantitative easing o delle prossime aste di Tltro: i titoli di Atene non sono investment grade e le banche non possono esibirli come collaterali; gli istituti di credito nazionali possono dunque accedere a liquidità ulteriore, oltre a quella d'emergenza, solo in virtù della copertura del piano di bail-out.

Il secondo dubbio riguardava una possibile decisione unilaterale sullo stop al rimborso del debito. Questa decisione unilaterale, ha assicurato il premier greco, non ci sarà. Ci sarà invece un negoziato, lungo e difficile, con i creditori, che per oltre due terzi sono i governi dell'Eurozona e appunto il Fondo e la Bce. Altrimenti non avrebbe avuto molto senso per Atene, come è invece è stato annunciato nel fine settimana, ingaggiare la banca d'affari Lazard in qualità di advisor sulle trattative del debito. Lazard è un grande specialista in materia e aveva già lavorato con il governo greco tra il 2010 e il 2012.

Non è chiaro se a occuparsene direttamente, come in passato, sarà Lazard France, guidata dal banchiere Matthieu Pigasse, editore di Le Monde e vicino al Partito socialista francese, a sua volta grande esperto di negoziati sul debito internazionale. Se così dovesse essere, Parigi si rivela uno snodo fondamentale. Anche perché, come l'Italia, è il Paese che più ha premuto in questi mesi perché l'Europa uscisse dal feticismo rigorista del risanamento a tutti i costi e con tabelle di marcia asfissianti a favore di un rilancio della crescita attraverso un mix equilibrato di riforme strutturali e investimenti pubblici.

Atene vuole un’altra cancellazione parziale, oltre a quella ottenuta a carico dei creditori privati. E’ però molto difficile, anche se non impossibile, che si possa arrivare ad un altro sconto sul principal, cioè sul capitale. La Germania apparentemente non vuole nemmeno sentirne parlare, ma in una trattativa aperta, e con il fattore tempo che non è dalla parte di nessuno, né dell’Europa né della Grecia, nulla può essere escluso a priori. Una delle ipotesi più percorribili è un a combinazione tra allungamento delle scadenze di altri dieci anni e un’ulteriore riduzione dei tassi d’interesse.

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