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Il Tfr in busta paga rischia di slittare: manca ancora il decreto

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Il Tfr in busta paga rischia di slittare: manca ancora il decreto

L’operazione Tfr in busta paga, lanciata dal Governo con la legge di stabilità 2015, s’avvicina pericolosamente alla “zona Cesarini”. Entro gennaio, stando al dettato della legge, si sarebbe dovuto varare un decreto del presidente del consiglio dei ministri (Dpcm) per definire le modalità di adesione da parte dei lavoratori dipendenti del settore privato nonché i criteri di funzionamento del Fondo di garanzia di ultima istanza dello Stato presso l’Inps di 100 milioni iniziali per le imprese con meno di 50 dipendenti.

Solo che il Dpcm risulta ancora in fase di elaborazione, sia pure molto avanzata, da parte dei tecnici di palazzo Chigi, dell’Economia e del ministero del Lavoro. Il testo dovrebbe essere quasi pronto, insomma, ma dovrà poi passare al vaglio del Consiglio di Stato prima della pubblicazione in Gazzetta.

I tempi sono dunque molto stretti se si tiene conto che l’operazione sperimentale per il prossimo triennio dovrebbe scattare, per chi decidesse appunto di optare per il Tfr in busta, dal prossimo 1° marzo per concludersi il 30 giugno 2018. La scelta, come si ricorderà, riguarda la destinazione di tutta la quota di liquidazione in maturazione dal prossimo mese e una volta fatta è irreversibile fino al termine del periodo della sperimentazione.

Un eventuale ritardo sull’attuazione di questo provvedimento, nato tra le contestazioni del sistema della previdenza integrativa e la fredda accoglienza del mondo delle imprese, rischia di tradursi in nuovi oneri soprattutto per i datori di lavoro. Chi di loro volesse accedere ai finanziamenti bancari previsti (si deve definire anche un successivo accordo-quadro con l’Abi) deve infatti «tempestivamente richiedere all’Inps la certificazione del Tfr maturato in relazione ai montanti contributivi dichiarati da ciascun lavoratore». E solo dopo aver ottenuto questo certificato potrà rivolgersi allo sportello bancario.

Passaggi che richiedono tempo, dunque. Per non parlare delle scelte dei dipendenti. Dopo le polemiche di novembre-dicembre, concentrate sul prelievo fiscale ordinario che s’applicherà al Tfr in busta paga, dell’operazione non s’è più parlato. E non sembra alle viste una campagna informativa per aiutare i lavoratori a decidere a meno di un mese dal previsto avvio del trasferimento monetario.

L’Ufficio parlamentare di bilancio, organo indipendente di valutazione attivato ai sensi del nuovo fiscal compact, aveva definito di «difficile valutazione» l’iniziativa Tfr in busta e nel suo report di novembre aveva stimato un’adesione di almeno il 34% dei lavoratori interessati, vale a dire 4,1 miliardi di flusso su uno stock di 14,5 miliardi che avrebbe potuto garantire 2,7 miliardi di maggiori consumi.