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Debaltseve non conosce tregua

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Debaltseve non conosce tregua

LE PREOCCUPAZIONI

Angela Merkel: è un cessate

il fuoco molto fragile

Contate oltre un centinaio

di violazioni da entrambe le parti. Morti 5 soldati ucraini

«La tregua è fragile», ha detto ieri Angela Merkel da Berlino. Ma a Debaltseve, là dove si gioca il destino dell’Ucraina orientale, non si è mai arrivati neppure al punto 1 degli Accordi di Minsk, quello che a partire dal 15 febbraio invocava un cessate il fuoco «immediato e completo». Tregua entrata pressappoco in vigore, con sporadiche e reciproche violazioni (112 attribuite ai separatisti contro 27 imputate alla forze ucraine, cinque morti tra i soldati di Kiev). Ma non c’è mai stata tregua nella città martoriata da incessanti bombardamenti, nodo ferroviario a cui nessuno vuole rinunciare neanche quando si sarebbe dovuto cominciare a parlare di pace. Gli abitanti rimasti vivono nelle cantine, senza cibo né acqua, intrappolati insieme ai 7.000 soldati ucraini che non intendono arrendersi, e negano di essere circondati. È a Debaltseve che si è combattuto furiosamente fino all’ultimo, ciascuno con la speranza di arrivare a Minsk con la città in mano. Ma nella lunga notte dei negoziati, mercoledì scorso, non si è fatta chiarezza su questo luogo che nella complessa geografia disegnata dagli accordi ha un posto a sé. Fino a metà settembre era in mano ai separatisti dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, poi è stata riconquistata dai governativi. Il testo degli Accordi di Minsk prevede il ritiro degli armamenti e l’instaurazione di una “zona cuscinetto” a partire da due linee di controllo diverse: quella attuale per Kiev, quella raggiunta il 19 settembre per i separatisti. Debaltseve resta in una zona indefinita, una vera “sacca” che si insinua tra Donetsk e Luhansk: «È terra nostra», dicono i separatisti. Per il loro capo a Donetsk, Aleksandr Zacharcenko, «gli Accordi non dicono una parola su Debaltseve». «Debaltseve è nostra in base agli Accordi, non ce ne andremo», ha ribattuto ieri il portavoce militare ucraino Vladislav Seleznyov, respingendo l’idea di un «corridoio sicuro» attraverso cui far evacuare i soldati rimasti a Debaltseve, a condizione che depongano le armi.

Su una cosa i due avversari sono d’accordo: non esistono le condizioni per passare al punto 2, l’inizio del ritiro degli armamenti. «La pre-condizione per il ritiro delle armi pesanti – ha dichiarato da Kiev il portavoce militare Andriy Lysenko – è l’attuazione del punto 1 degli accordi, il cessate il fuoco. Ma 112 attacchi non sono segnali di tregua». I separatisti sono pronti soltanto a un ritiro reciproco, ha risposto Denis Pushilin, uno dei loro leader.

Non è aria di distensione neppure sul fronte delle sanzioni. Per tenere alta la pressione sulla Russia, l’Unione Europea ieri ha confermato le misure lasciate temporaneamente in sospeso nei giorni dei negoziati, allungando la lista delle persone a cui verrà negato il visto nella Ue. Tra loro due vice ministri della Difesa e Isif Kobzon, il “Frank Sinatra” russo che in ottobre tenne un concerto a Donetsk, accanto a Zacharcenko. Irritatissima la reazione del ministero degli Esteri russo, che ha definito la decisione di Bruxelles «ridicola» e «contraria al senso comune». Seguirà una «risposta adeguata».

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