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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2015 alle ore 18:16.
L'ultima modifica è del 02 marzo 2015 alle ore 09:23.
Charlie Hebdo torna in edicola e vorrebbe tornare alla normalità, a guardare la copertina anticipata da Libération, il giornale di sinistra che ha fatto da tutore ed ospite in questo mese senza fissa redazione come negli anni passati quando il giornale parigino guidato dal defunto Charb, uno degli obiettivi del commando jihadista, fu colpito da bombe intimidatorie di stampo islamista. La copertina racconta molto di quello che questo settimanale vuole continuare a essere, sfondo rosso, il colore tradizionale della sinistra, un piccolo cane bianco e nero corre inseguito da un gruppetto inferocito, in bocca il settimanale satirico che una volta si chiamava Hara-Kiri.
Il cagnetto di corsa potrebbe essere un’evocazione del watchdog, il cane da guardia del potere come da definizione anglosassone del giornalismo, se non fosse che siamo in Francia e «Charlie» non ha mai dimenticato d’essere un giornale di vignette e satira, ha rivendicato irresponsabilità anche nei momenti bui, non vuole essere un simbolo - l’hanno ripetuto con gentile fermezza i sopravvissuti e Gérard Biard, caporedattore ospite su Rai3 a Che tempo che fa. Il cagnetto assomiglia più a un insolito Snoopy al galoppo, il brachetto di Charlie Brown, la scritta spiega «è ripartito». I volti di quelli che lo inseguono e lo vorrebbero mettere in un canile - alcuni probabilmente sopprimerlo - sono caricature, si riconoscono Nicolas Sarkozy, Marine Le Pen, Papa Francesco e un jihadista, più bestia che uomo, grosso lupo nero con un kalashnikov fra le fauci. Come a dire, ci ha colpito a morte il fondamentalismo islamista ma noi non piacevamo alle religioni in generale e alle destre in particolare, e continueremo a farlo.
È passato un mese e mezzo, era il 7 gennaio scorso, da quello che è stato ribattezzato l’11 settembre francese, un massacro che non aveva come obiettivo una massa innocente ma un’idea, la libertà di pensiero e di espressione con unico limite la legge laica di un paese democratico. Sull’onda dell’emozione era uscito il numero dei record per tiratura e diffusione internazionale, cover di Maometto sfondo verde con la scritta «Je suis Charlie», lo slogan di popolo e web di coloro che hanno manifestato solidarietà ai vignettisti e il titolo «Tout est pardonné». Poi la redazione sopravvissuta ha spiegato che aveva bisogno di tempo per tornare alla normalità, lo shock era stato grande, lo stress si farà sentire a lungo, alcuni sono ancora in ospedale.
«Charlie» torna domani mercoledì 25 febbraio, tiratura da 2,5 milioni di copie, sarà il numero 1179. «Bisognava fermarsi qualche giorno, prendere un po’ di respiro - diceva qualche giorno fa Biard ricordando l'exploit dell'edizione del 14 gennaio, 7,3 milioni di copie a una settimana dal massacro. «C'erano quelli che volevano ricominciare subito a lavorare, come me, e quelli che avevano bisogno di un po’ di tempo. Abbiamo trovato un compromesso, e ci siamo messi d'accordo sulla data del 25 febbraio. Da mercoledì si riparte come prima con scadenza settimanale». «Con questo numero l'avventura ricomincia - dice Patrick Pelloux, fisico e collaboratore di Charlie - Ci sono stati i funerali. Bisogna fare i conti con l'assenza degli altri, è questa la cosa più difficile. Il giornale deve continuare perché la vita continua, non siamo qui per fare piangere, è un giornale satirico, deve fare divertire, bisogna fare ridere con l'attualità».
Temi della settimana: il processo al giro di squillo legato all'Hotel Carlton di Lille, imputato Dominique Strauss-Kahn, ex direttore del Fondo monetario internazionale; l’attentato terrorista a Copenhagen, e la Grecia con un'intervista al nuovo ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis. Firma la vignetta-editoriale il nuovo direttore Laurent Sourisseau, nome d’arte Riss, ferito durante la strage dei fratelli Kouachi che ha fatto 12 morti solo nella redazione più le cinque vittime nell’attacco al supermercato di cibo ebraico il giorno dopo.
Il settimanale - ora 200 mila abbonati contro i 10 mila pre massacro, diversi milioni di euro tra donazioni, aiuti dal ministero della cultura, oltre agli introiti dalle vendite delle copie del numero record - si trasferiranno presto in una nuova sede, probabilmente nel tredicesimo arrondissement, est di Parigi. «Non abbiamo ancora la conferma - ha detto Biard - stanno testando se i pavimenti sono abbastanza solidi per panic room a prova di bomba».
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