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Derivati Morgan-Tesoro, indaga la Procura di Roma

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INCHIESTA

Derivati Morgan-Tesoro, indaga la Procura di Roma

Manipolazione del mercato finanziario: è il reato ipotizzato dalla Procura della Repubblica di Roma, che indaga sulla clausola di scioglimento anticipato del contratto derivato sottoscritto nel 1994 tra il Tesoro e la banca d’affari Morgan Stanley, che ha consentito all’istituto di incassare 2,5 miliardi di euro tra dicembre 2011 e gennaio 2012.

Una «clausola unica nel suo genere» la definiscono gli investigatori, che trova conferma anche nelle audizioni, davanti ai magistrati della Procura di Trani, della responsabile del debito pubblico, Maria Cannata. Perché contratti simili erano stati sottoscritti anche con Ubs, ha spiegato il tecnico del Tesoro, ma, anche se vi era la possibilità di uno scioglimento anticipato, era stato consentito allo Stato di far «subentrare un’altra banca» permettendo così un minore esborso. Al momento l’inchiesta della Procura di Roma, condotta dal procuratore aggiunto Nello Rossi, non conta iscritti nel registro degli indagati. Ma il contenuto di questa clausola, inserita nel contratto sottoscritto con Morgan Stanley, è ben illustrato dalla Cannata, ascoltata dal sostituto procuratore di Trani, Michele Ruggiero, che indaga sul declassamento dell’Italia avvenuto con i report delle società di rating Standard&Poor’s - di cui Morgan Stanley risulta azionista - e Fitch tra il 2011 e il 2012. Procedimento in cui il ministero dell’Economia, annuncia Pier Carlo Padoan, sta valutando se costituirsi parte civile. «Se dovessero emergere elementi ulteriori - ha dichiarato il ministro - il Mef valuterà la possibilità di costituirsi parte civile nel processo di Trani».

Stando alle domande che formula il magistrato Ruggiero, l’ipotesi inquirente è che il declassamento e la clausola di rescissione del contratto siano illecitamente connesse per via delle azioni possedute dalla banca in S&P. Tuttavia la Cannata smentisce questo particolare affermando che il contratto con Morgan Stanley era legato al mark-to-market, ossia al valore di mercato di un derivato a un determinato istante. Siamo nel periodo tra dicembre 2011 e gennaio 2012. La Cannata racconta che «la questione Morgan Stanley (…) non è stata determinata dal declassamento, era legata al valore del mark-to-market e peraltro era un valore che era stato superato da almeno dieci anni». Aggiunge che «nel contratto quadro sottoscritto nel 1994, qui al Tesoro, c’era una clausola che dava diritto alla Morgan Stanley di chiedere la risoluzione anticipata e quindi con il pagamento del relativo controvalore, al superamento di una certa soglia di valore di mark-to-market. Questo valore era molto basso ma la controparte non aveva mai esercitato questa clausola.

Questo per, diciamo, i buoni rapporti, insomma ci teneva alla relazione con la Repubblica» italiana. «Poi, arrivati alla fine del 2011, in quel periodo particolarmente turbolento - racconta il dirigente dell’Economia - i responsabili della vigilanza della banca, che aveva un’esposizione molto rilevante in quella data nei confronti della Repubblica, fecero presente che, avendo questa clausola, dovevano in qualche modo farla valere, perché quell’esposizione era eccessiva (…) credo tre miliardi e mezzo». Spiega che la richiesta sarebbe giunta direttamente dalle autorità di sorveglianza americana e inglese, rispettivamente la Sec e la Fse. Tuttavia racconta che la Morgan Stanley non fornì un documento delle due autorità, così «abbiamo preteso dalla banca che ci facesse una dichiarazione dove, sostanzialmente, dice questo: le nostre autorità ci dicono che questa esposizione è eccessiva, dobbiamo assolutamente risolvere».

La Cannata, poi, spiega che nel 2012 il vice presidente della banca d’affari era Domenico Siniscalco, ex ministro dell’Economia e delle finanze tra il 2004 e il 2005 con l’ex premier Silvio Berlusconi. Ma precisa che l’operazione era stata conclusa con gli alti funzionari dell’istituto, Robert Roley e Massimiliano Ruggeri. La chiusura del contratto, dunque, sarebbe stata secondo il tecnico del Tesoro una «forzatura». Inoltre, precisa che Morgan Stanley non ha più avuto «mandato con noi (…) perché ci aveva assicurato che gestendo in questo modo la cosa si sarebbe mantenuta la massima riservatezza (…). Ora non tanto il fatto che loro, in un certo senso, abbiano esercitato questa clausola dopo essersela tenuta lì per almeno un decennio, se non di più, senza attuarla; ma quanto il fatto che non abbiano tenuto fede all’impegno di riservatezza che si erano assunti nel procedere in questo modo, quello ci ha creato secondo me un danno, infatti Morgan Stanley non ha più preso un mandato finora».