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Questo articolo è stato pubblicato il 09 aprile 2015 alle ore 08:42.

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Un progetto fermo al palo. In senso letterale, non figurato: il palo è il pilone numero 40 della linea di alta tensione fra Sicilia e Calabria (l’elettrodotto Sorgente-Rizzìconi), bloccato per decisione della magistratura di Messina su denuncia di un’associazione (sedicente) ecologista. Risultato: l’opera quasi pronta si ferma, ai siciliani tocca subire decine di tralicci vecchi e 87 chilometri di altre linee elettriche che quella nuova farà smontare, e fa pagare a tutti noi consumatori di corrente 600 milioni in più l’anno per l’inefficienza della rete.

Il costo in più

La Sicilia (assetata di energia elettrica) è mal collegata con il Continente (dove c’è talmente tanta disponibilità di corrente che gran parte delle centrali stanno spente per mesi). Ciò si riflette sui costi dell’elettricità. Alle centrali siciliane la corrente viene pagata uno sproposito, e il sovraccosto viene suddiviso su tutti i consumatori attraverso il prezzo unico nazionale della Borsa elettrica. Il collegamento farà fluire in Sicilia l’abbondante energia più economica del Continente.

In media, questo scherzo costa sulle bollette 600 milioni l’anno, e in questi anni di continui ritardi e contenziosi il sovraccosto che abbiamo pagato finora si aggira sui 4,5 miliardi. Altri 700 milioni è quanto ha speso finora Terna, la Spa dell’alta tensione, per realizzare quasi del tutto la linea rimasta al palo numero 40. Quindi, in bolletta finora abbiamo pagato circa 5 miliardi di euro.

La nuova linea

Da una dozzina d’anni Terna cerca di posare, fra opposizioni sediziose, questa nuova linea e togliere 170 chilometri di vecchi cavi che, costruiti nei decenni senza regola, s’intrecciano in Calabria e nel Messinese (87 chilometri sulla sola sponda siciliana). Un’ottantina i permessi e le autorizzazioni conseguiti entro il 2010. Dopo ritardi infiniti, l’inaugurazione è prevista a mesi.

La linea collega Rizzìconi (Reggio Calabria) con Sorgente (Messina) dove c’è la vecchia grande centrale A2A di San Filippo del Mela. Non passa nello Stretto: con cavi sottomarini, evita le correnti e le asprezze dei fondali fra Reggio e Messina e corre nel Tirreno.

Il palo numero 40

Nel tratto a terra la linea passa vicino a Saponara, già feudo dei principi di Trecastagni e degli Alliata, 4mila abitanti che nel 2011 subitono una colossale alluvione che uccise tre persone. Lì, su un fianco del monte Raunuso, c’è il pilone numero 40.

Centinaia di denunce inutili e ricorsi strumentali sono svaporati nel nulla, tranne uno: una denuncia dell’associazione Man (Mediterraneo natura) di due anni fa ha trovato terreno fertile nella Procura di Messina, che in febbraio ha aperto un’inchiesta penale e ha sequestrato il palo, e nel Tribunale di Messina, che nei giorni scorsi ha asseverato la decisione dei colleghi.

Il motivo? Il pilone non va bene per il Piano del paesaggio adottato dopo (si badi bene: dopo) le autorizzazioni.

Così la Procura ha aperto un’inchiesta contro Terna e contro la ditta che sta posando i cavi. E contro la Sovrintendenza ai beni culturali, accusata di aver approvato il pilone prima che esistesse il piano del paesaggio. Così, finché non si sbloccherà il lavoro, i messinesi vivranno a fianco delle vecchie linee elettriche che sfiorano le case, e tutti gli italiani pagheranno i 600 milioni in più l’anno.

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