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Questo articolo è stato pubblicato il 03 maggio 2015 alle ore 08:11.

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ROMA

«La legge elettorale diventa un simbolo: per anni la classe politica è stata inconcludente. Se lunedì le cose vanno come spero, allora possiamo dire che abbiamo girato una pagina di una rilevanza pazzesca per il nostro Paese. Per le strade mi dicono “tenete botta” perché è la volta buona».

Così come l’Expo è la metafora dell’Italia che ce la fa, che ce la farà contro i «signori professionisti del non ce la faremo mai», l’Italicum in dirittura di arrivo a colpi di fiducia per smuovere una classe politica “impaludata” è per Matteo Renzi l’altra faccia del cambiamento. Un cambiamento che il premier vuole enfatizzare in queste ultime decisive settimane prima del voto regionale. Anche perché la sentenza della Consulta che ha bocciato il blocco delle pensioni deciso dal governo Monti ha aperto una falla nei conti dello Stato che inghiotte il “tesoretto” che il governo avrebbe voluto utilizzare nelle prossime settimane a favore delle fasce più deboli per tentare di ripetere l’”effetto 80 euro”.

Tuttavia sull’Italicum la prudenza è d’obbligo. «Non è ancora finita, fino a che non si chiuderà aspettiamo a fare un bilancio», avverte Renzi. Il voto finale di domani sera, incassate con circa 350 voti le 3 fiducie messe sugli articoli del testo, è infatti un test molto scivoloso vista la possibilità che venga chiesto il voto segreto. E gli occhi dei renziani, più che sulla minoranza interna, sono paradossalmente puntati su Fi e sul capogruppo Renato Brunetta: il pressing azzurro sulle altre opposizioni (M5S, Lega e Sel) per un Aventino comune è molto forte. Perché Fi rischia molto proprio con il voto segreto, sotto l’ombrello del quale potrebbe scatenarsi la faida interna. Quanto ai 38 dem del no, la loro decisione dipenderà anche dalle scelte delle opposizioni: in caso di Aventino, infatti, è probabile la loro presenza in Aula (voto contrario o astensione) proprio per marcare il dissenso senza confondersi con le opposizioni.

Da parte del premier e del governo massima cautela, dunque. Anche perché il fronte nel dissenso interno potrebbe allargarsi. Uno dei 38 dissidenti della prima fiducia sull’Italicum, l’ex lettiano Guglielmo Vaccaro, lascia il gruppo. Lo fa perché contrario alla candidatura di Vincenzo De Luca in Campania. Ma potrebbe essere uno dei pionieri verso la nascita di gruppi autonomi. I renziani calcolano che sul voto finale l’asticella potrebbe abbassarsi rispetto ai 350 sì alla fiducia, ma non oltre i 50 dissidenti del Pd in tutto. E più o meno le stesse cifre le danno gli esponenti del no, a riprova che ormai le scelte politiche sembrano fatte. Per la minoranza dei nuovi “responsabili”, i 50 che fanno riferimento al ministro Maurizio Martina, a Enzo Amendola e a Matteo Mauri, sono sempre aperte le porte per un possibile accordo per l’elezione di un loro esponente al posto di capogruppo alla Camera dopo le dimissioni di Roberto Speranza, anche se al momento sembra più probabile la conferma del vicario Ettore Rosato. C’è poi la partita delle modifiche “compensative” alla riforma del Senato e del Titolo V quando, dopo le regionali, approderà a Palazzo Madama per la terza lettura. «Lo stesso premier è stato molto chiaro su questo punto – spiega Rosato -. Da parte nostra c’è la disponibilità a concordare soluzioni che migliorino la riforma senza dover ricominciare tutto daccapo».

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