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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2015 alle ore 06:36.

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ROMA

Rinnovo del contratto scaduto da sette anni. Un piano di assunzioni per stabilizzare i precari, docenti e Ata (personale tecnico, amministrativo e ausiliario). Ripristino del principio della collegialità nelle decisioni, minacciato dai superpoteri affidati al dirigente scolastico dal Ddl “Buona scuola”.

Intorno a queste parole d’ordine i sindacati di categoria di Cgil, Cisl, Uil, insieme a Gilda e Snals-Confsal si sono ricompattati ed hanno organizzato ieri lo sciopero generale della scuola - l’ultimo unitario risale al 2008, contro l’allora ministro Gelmini - dichiarando in serata quasi l’80% di adesioni, accompagnato da manifestazioni nelle principali città. «Si trasforma la scuola in una scuola che vale solo per quelli che hanno condizioni agiate, mentre il grande tema è una scuola pubblica che contrasti la dispersione» ha detto la leader della Cgil, Susanna Camusso, dall’affollata manifestazione romana. Ribattendo alle accuse sulla politicizzazione della protesta, Camusso ha ribadito che «è lo sciopero del personale della scuola, non uno sciopero politico», ha accusato l’Esecutivo di «arroganza», ed annunciato che «se sarà necessario troveremo altre modalità per continuare la nostra lotta».

Da Milano, al corteo di studenti, professori e lavoratori della scuola il numero uno della Cisl, Annamaria Furlan, ha mosso analoghe critiche al Ddl del governo Renzi: «La riforma crea una scuola di Serie A e una scuola di Serie B, e soprattutto non riconosce nella collegialità il vero lavoro della scuola». Riferendosi alle figure dei dirigenti scolastici, Furlan ha aggiunto che «sono troppo vicine ai sindaci e troppo lontani dalla collegialità».

Il nodo della figura del preside-manager tracciato dal Ddl all’esame in commissione cultura della Camera - oggetto peraltro di diversi emendamenti presentati dallo stesso Pd - è stato uno dei principali bersagli della protesta: «Non vogliamo dei podestà nelle nostre scuole ma dei presidi», ha ribadito il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo da piazza del Popolo a Roma. Domenico Pantaleo (Flc-Cgil) si è spinto fino a chiedere le «dimissioni» del ministro Giannini, perché «non è degna di rappresentare la scuola pubblica di questo Paese», mentre Francesco Scrima (Cisl scuola), ha definito la riforma «il Jobs act alla Trasteverina», con un’allusione alla sede del ministero.

Alle questioni di merito, si aggiungono anche questioni di metodo, come ha ricordato Massimo Di Menna (Uil scuola), lamentando la mancanza di interlocuzione con il governo: «Non si possono decidere le sorti della scuola nel chiuso di una stanza».

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