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Questo articolo è stato pubblicato il 30 maggio 2015 alle ore 08:11.

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ROMA

Matteo Renzi è furioso, e non fa nulla per nasconderlo nei colloqui con i suoi. Proprio alla vigilia del silenzio elettorale che toglie anche il diritto di replica ai candidati alle regionali finiti nel mirino, Rosy Bindi lancia la bomba mettendo nella ormai famosa lista degli “impresentabili” stilata dalla commissione Antimafia da lei presieduta (16 in tutto, 12 del centrodestra e 4 del centrosinistra ma non in liste Pd) il candidato del Pd alla regione Campania Vincenzo De Luca. Il punto è che né Renzi né i renziani se lo aspettavano, il colpo basso dell’inserimento di De Luca nella lista. Il premier si era spinto nelle ultime ore ad affermare più di una volta «non ci saranno candidati del Pd tra gli impresentabili» e solo in mattinata, poco prima della conferenza stampa convocata da Bindi per annunciare i nomi dei candidati che la commissione ritiene “sconsigliabili”, aveva voluto circoscrivere la vicenda: «nessuno» dei cosiddetti impresentabili «sarà eletto», e perciò tutto il dibattito rischia di risultare «irreale» e «autorefenziale». Poi la bomba su De Luca, già nel mirino per via della possibile sospensione in virtù della legge Severino per un’altra vicenda. Per Renzi è un vero e proprio agguato, un’imboscata alla vigilia del voto studiata per cercare di azzoppare il risultato del Pd. «Mi fa male che si utilizzi la vicenda dell’Antimafia per una discussione tutta interna, per regolare conti interni a un partito», dice infine in una serata dedicata alla chiusura della campagna elettorale tra Ancona e Firenze. Accuse, ovviamente, respinte da Bindi: «Giudicheranno gli italiani chi davvero usa le istituzioni per fini politici, ma certamente non sono io».

Ma prima ancora che Renzi parli di “regolazione di conti” è già una raffica di dichiarazioni contro l’iniziativa di Bindi. Il solitamente pacato Luigi Zanda, presidente dei senatori Pd, vi legge «una tempistica sospetta» indizio di un’incombente «barbarie politica». «L’iniziativa di Bindi ci riporta indietro di secoli, quando i processi si facevano nelle piazze aizzando la folla», rincara il presidente del partito Matteo Orfini. Fino alla nota di fuoco che dettano i vicesegretari Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani nel tardo pomeriggio: «La presidente della commissione, che per tanti anni ha richiamato tutti al valore della Costituzione, poteva evitare di metterne a repentaglio uno dei principi fondamentali per una personale lotta politica».

La vicenda che riguarda De Luca e che è stata tirata fuori dall’Antimafia risale a 17 anni fa e lo stesso De Luca ha rinunciato alla prescrizione, con la conseguenza che il procedimento è ancora in corso: si tratta della concessione della cassa integrazione per circa 250 operai dell’ex Ideal Standard e della richiesta di oneri di urbanizzazione a vantaggio del Comune (concussione, truffa e associazione per delinquere). «Sono orgoglioso di aver preso decisioni urbanistiche per salvare 250 lavoratori dell’Ideal Standard e rifarei gli atti esattamente come 17 anni fa», dice oggi De Luca. Che ha subito annunciato una querela per diffamazione contro la sua compagna di partito: «Mi pare evidente che questa campagna di aggressione ha un solo obiettivo: cercare di mettere in difficoltà il governo nazionale e Renzi. L’aggressione vera è al segretario del partito». Chiosa lo stesso Renzi: «Vincenzo De Luca ha denunciato Rosy Bindi. Se la vedranno in tribunale».

Di certo il premier e segretario democratico non caccerà nessuno. Né c’è intenzione da parte del Pd di mettere in discussione la carica di Bindi all’Antimafia (la commissione da lei presieduta, tra l’altro, non rientra in quanto commissione speciale nel rinnovo che aspetta le commissioni permanenti a giugno). Piuttosto è lei, sottolineano molti renziani doc, a dover esaminare la sua coscienza e chiedersi il senso di restare nel Pd. In molti notano i nomi di chi è sceso in campo in difesa della Bindi parlando di accuse «inaccettabili»: Gianni Cuperlo, Stefano Fassina, Alfredo D’Attorre. E lo stesso Pier Luigi Bersani, pur con toni più pacati, prende posizione in favore di Bindi («l’Antimafia sta applicando un codice che abbiamo approvato tutti in Parlamento»). Per non parlare di Nichi Vendola e di tutta Sel. Da qui a sospettare che Bindi stia preparando il terreno, con questa mossa, per un nuovo partito a sinistra del Pd il passo è breve per il premier e i suoi. Anche perché i due membri renziani dell’Antimafia, Ernesto Carbone e Ernesto Magorno, hanno riferito a Renzi che l’inserimento di De Luca nella lista è avvenuto all’insaputa dei membri della commissione per mano della presidente. Questo fatto e la tempistica - il Codice in base al quale viene composta la lista, ha sottolineato il costituzionalista del Pd Stefano Ceccanti parlando di violazione della legge, prevede il diritto di replica degli interessati che in questo caso è impossibile - hanno indotto Renzi e i suoi a sospettare il trappolone “organizzato”. Le conseguenze di questo scontro a poche ore dal voto si vedranno alla ripresa parlamentare. Di certo, come ha buon gioco a notare il ministro dell’Interno e leader centrista Angelino Alfano, la vicenda è di «una ferocia senza precedenti dentro uno stesso partito».

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