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Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2015 alle ore 06:36.

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Le vittorie non dovrebbero avere aggettivi. Tantomeno quelle sonore, rotonde e incolmabili. Ma Luca Zaia, per la seconda volta governatore del Veneto con uno scarto di quasi 30 punti sulla sua immediata inseguitrice, non ha resistito a coniarne uno: stratosferica. Una vittoria che forse neppure lui si aspettava, con i sondaggisti che lo davano in vantaggio di almeno dieci punti. È andata molto meglio del previsto. E ieri mattina, a Villorba, in una sede elettorale di «quindici metri quadrati, come ci tiene a precisare, celebra il suo meritato trionfo: «Ho raccolto un milione di voti, De Luca in Campania è a quota 800mila. Un successo della sua lista, prima ancora di quella leghista. Andrea Tomat, ex presidente degli industriali del Veneto e zaiano fino al midollo, continua il gioco degli aggettivi. «È un uomo affidabile, autorevole, credibile. I ceti produttivi non hanno avuto dubbi, malgrado la Moretti abbia affrontato la competizione a testa alta». I veneti si aspettano che Zaia traghetti il Veneto fuori dalla crisi. Conferma Matteo Zoppas, presidente di Assindustria Venezia: «Zaia può riportarci ad essere la regione guida d’Italia».

Lo strappo con Tosi, nei giorni convulsi delle frizioni che poi hanno preceduto la rottura, invece di indebolirlo l’ha rafforzato. Ne ricaverà benefici la sua azione di governo. Tosi fungeva da opposizione interna e osteggiava molte scelte politiche di Zaia, rivendicando per la sua corrente la poltrona di assessore alla Sanità, che da sola fa l’80% del bilancio. Ora è il momento di passare all’azione. Prima decisione? «Spendere in modo intelligente 760 milioni di fondi comunitari per i 172mila disoccupati del Veneto». Il resto è elencato nel suo programma di governo nel capitolo “Scelgo il Veneto per le imprese”. L’obiettivo è sostenere le 440mila imprese con azioni mirate: dai 23 milioni di voucher per l’internazionalizzazione a 200 milioni di euro per le piccole e medie imprese innovative.

Il governatore ammette di aver temuto di non farcela. «Sembrava una missione impossibile, invece abbiamo risvegliato le coscienze». Zaia si congeda con una battuta: «Il governo è stato clamorosamente trombato dai veneti». Un’affermazione che Salvini declina in modo canzonatorio sul suo profilo Facebook: «Renzi, stiamo arrivando». L’avanzata trionfale delle Regionali fa della Lega Nord il primo partito del centrodestra, almeno dalle Marche in su. È una conferma secca del risultato trionfale incassato alle regionali emiliane di un anno fa. L’opa sul centrodestra lanciata dall’altro Matteo ormai si può considerare vinta. «Berlusconi sa leggere i numeri, no?» ha postato ironicamente Salvini al capo storico del centrodestra che neppure una settimana fa si lamentava di fronte a Fabio Fazio della sproporzione tra le apparizioni in tv a Matteo Salvini e quelle concesse a se medesimo. L’anziano leader di Forza Italia spulcia i minuti televisivi, mentre più pragmaticamente il giovane “capitano” della Lega fa la contabilità dei suoi forzieri elettorali.

Ormai l'annessione dei territori a sud del Po è cosa fatta. L’estremismo salviniano («l’aggettivo che meno mi si addice è quello di moderato» ripete Salvini ogni volta che può) piace alle roccaforti del Pd ormai strangolate da un monopolio che in Toscana e in Umbria (come in Emilia-Romagna) dura dalla fine della seconda guerra mondiale. Matteo lo sa e ogni volta che può recita il ruolo del barbaro padano che parla alla pancia e alle paure degli elettori. La crisi economica, l’asfissia dell’eurozona e l’immigrazione montante sono tre temi che fanno il pieno di applausi e consensi. Il resto lo fa il logoramento dell’Italia di mezzo, da troppo tempo priva di quella rigenerazione essenziale in qualsiasi regime democratico: l’alternanza. Il colpaccio è stato sfiorato in Umbria, dove il Pd impera da tempo immemore. Un anno fa il centrodestra con la regia dell’avvocato Fiammetta Modena aveva strappato al Pd la poltrona di sindaco di Perugia. Era il segnale di uno smottamento. Il sindaco di Assisi Claudio Ricci non ce l’ha fatta per tre punti, ma ha recuperato uno svantaggio che solo cinque anni fa era del 20 per cento. Quattordici punti sono stati portati in dote da Salvini.

Nulla è impossibile. E a confermarlo c’è il risultato per nulla disprezzabile di Claudio Borghi in Toscana. I monopoli elettorali si stanno sgretolando. Inutile però inventarsi scorciatoie. La coerenza a volte non paga, ma l’incoerenza plateale viene punita con il massimo della pena. Gian Mario Spacca, ex manager della Fondazione Merloni, si è inventato un colpo di teatro. Per due mandati consecutivi governatore del Pd e poi di nuovo aspirante governatore a capo di una coalizione guidata da Forza Italia. Cartellino rosso degli elettori marchigiani, che l’hanno relegato al quarto posto, con la Lega che pure in questa regione cerniera tra Nord e Sud ha raccolto un significativo 13,2 per cento.

Più in su, al Nord, i liguri celti di cui narrava Gianni Brera hanno voluto dare una spallata alla lunga stagione politica di Burlando, ex ministro, ex sindaco e ormai ex governatore. In Liguria Salvini aveva puntato i piedi con il suo candidato, Edoardo Rixi, lanciato alla maniera leghista all’alba del 12 gennaio, ben cinque mesi prima delle elezioni. Rixi si presenta alla testa del Comitato di liberazione regionale, una sigla evocativa che scimmiotta quella ben più famosa nell’Italia occupata dai nazifascisti. Potrebbe essere il candidato da battere se il Cavaliere non pretendesse quel ruolo per Giovanni Toti, il suo delfino designato. Salvini morde il freno ma non polemizza. Rixi sarà con ogni probabilità super assessore col fiato sul collo di Toti, in un governo che potrebbe profilarsi come una diarchia. Primi o secondi al massimo, per i salviniani tertium non datur.

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