Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 12 giugno 2015 alle ore 06:36.

My24

Siamo solo all’inizio ma il clima è già incandescente. «Credo che di fronte a una richiesta del genere si debbano valutare le carte ma mi pare che sia inevitabile votare a favore dell’arresto». Matteo Orfini, presidente del Pd, così si pronuncia sul caso Azzollini, il senatore di Ncd sul quale pende la richiesta di arresto della procura di Trani. I centristi reagiscono. «Pretendiamo - avverte Gaetano Quagliariello - la stessa serietà con la quale ci stiamo comportando noi: non si può dire che si devono valutare le carte e allo stesso tempo che è inutile conoscerle perché si è già deciso». Orfini fa marcia indietro, chiama Quagliariello, conferma che la valutazione del Pd dipenderà dal merito, e non «in modo pregiudiziale». Parole che vengono ulteriormente confermate dal vicesegretario dei Dem Lorenzo Guerini, che ci tiene a sottolineare che «la vicenda» Azzollini «non è da porre sul piano politico». Più o meno quello che sostiene anche il capogruppo di Ncd Renato Schifani che, dopo essersi speso per il suo senatore definito «estroso nel linguaggio» ma «onesto e trasparente», garantisce che in «ogni caso non ci saranno ripercussioni sul governo».

Ma siamo alle parole. Il governo traballa eccome. Soprattutto al Senato, dove gli incidenti sono all’ordine del giorno. Matteo Renzi è costretto tutti i giorni a fare i conti con le notizie che giungono dalle procure, a partire naturalmente da quella di Roma. E poi ci sono i numeri risicati (da sempre) a Palazzo Madama dove non c’è più solo la ”resistenza” della minoranza interna al Pd: adesso il malumore si è esteso anche ai centristi, che si sentono sotto assedio politico e giudiziario. È in questo contesto che esplode il caso Azzollini. In gioco non c’è la tenuta nel governo. Il parallelismo con la crisi dell’esecutivo Prodi del 2008, cominciata con le indagini su Clemente Mastella, non regge. Allora Silvio Berlusconi chiedeva tutti i giorni di tornare a votare. Oggi invece nessuno si azzarda, anzi sottotraccia, anche nell’opposizione, si lavora per garantire lunga vita alla legislatura. Il principale rischio per il premier è piuttosto l’impantanamento. E in questo la vicenda Azzollini potrebbe avere un peso non irrilevante. lo si sta già vedendo.

In commissione Istruzione si comincerà a votare la riforma della scuola lunedì. I senatori potranno esaminare appena una decina di emendamenti sugli oltre 2.500 presentati. La commissione Bilancio, presieduta proprio da Azzollini, finora ha dato solo il parere sugli articoli 1 e 3 . La previsione è che i pareri della Bilancio saranno completati nella settimana successiva e quindi in aula non si potrà arrivare prima della fine del mese. Stessa sorte per la riforma della Rai, su cui si entrerà nel vivo in commissione Trasporti da martedì e che attende anch’essa i pronunciamenti della Bilancio. E coincidenza vuole che sempre martedì 16 comincerà anche l’esame del caso Azzollini da parte della Giunta per le autorizzazioni a procedere.

Ieri l’ufficio di presidenza guidata da Dario Stefano (Sel) che sarà anche relatore, ha deciso un calendario serrato (due sedute la settimana). Alla riunione Ncd e Fi non si sono presentate. E questa volta non si può certo parlare di casualità. L’obiettivo dei centristi è probabilmente di tirarla per le lunghe, magari con la speranza che nel frattempo sul loro senatore si pronunci il tribunale della libertà togliendoli dall’impaccio. Azzollini fa sapere di essere a disposizione. «Andrò in audizione e rispetterò il calendario dei lavori deciso dall’ufficio di presidenza della Giunta», conferma il senatore. Ma nel frattempo continuerà a presiedere la Bilancio.

Da una parte le Procure e le fibrillazioni dentro Ncd, dall’altra i rapporti tesi con la minoranza del Pd. O meglio, le minoranze. E Renzi è intenzionato proprio a giocare su queste divisioni per allargare l’area del consenso, coinvolgendo in Parlamento e nel governo la minoranza “dialogante” di Maurizio Martina (già ministro dell’Agricoltura), Enzo Amendola e Matteo Mauri. Intanto martedì si riunirà l’assemblea del gruppo democratico alla Camera per eleggere il successore di Roberto Speranza, leader dell’area più “radicale” e dimessosi prima di votare no alla fiducia sull’Italicum: il nome che proporrà Renzi è Ettore Rosato, capogruppo vicario di Areadem. Il ruolo di vicario andrà invece a un esponente della minoranza “dialogante”: Matteo Mauri o Donata Lenzi (in quest’ultimo caso Mauri potrebbe andare nella segreteria del Pd, magari nell’importante casella Enti locali). Per Amendola sembra aprirsi la strada del governo come vicepremier agli Esteri (il “ritocco” alla squadra di governo, con le nomine nelle caselle mancanti, avverrà entro luglio). E c’è infine la partita delle commissioni: prima dell’estate dovranno essere rinnovati i vertici alla Camera (in Senato si procederà a settembre), dove 4 presidenti di Forza Italia saranno sostituiti da esponenti centristi della maggioranza e da deputati della minoranza Pd.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenta la notizia