Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 14 giugno 2015 alle ore 08:12.

My24

VENEZIA

Venezia è come il Santo Graal. Impossessarsi della città lagunare (oggi vanno al ballottaggio 78 comuni di cui 12 capoluoghi) avrebbe per la destra un valore simbolico non computabile con le semplici percentuali elettorali che ci sommergono in questi giorni.

Per convenzione ha sempre avuto il rango di una città-stato e il suo sindaco il ruolo di un doge rosso, con il Pci che per generazioni di veneziani è stato molto più di una chioccia. Fino a ieri, fino a Cacciari sindaco, che divideva e imperava, s’infuriava e blandiva, con quell’aura di un cognome e di un mestiere, il filosofo, che malgrado seminasse provocazioni a valanga («c’è l’acqua alta? Mettetevi gli stivali») incarnava una diversità nella quale si era quasi obbligati a riconoscersi.

Il primo di giugno del 2015 i veneziani scoprono che il primo partito della città lagunare con il 21% è la lista Brugnaro, un simbolo depositato all’alba del primo di maggio, neppure trenta giorni prima. Il Pd del civatiano Felice Casson precipita al 17% , quando alle europee di neppure un anno fa veleggiava oltre il 40. C’è l’affermazione della lista civica Casson, è vero, ma la marea antagonista – perché a Venezia gli antagonisti sono quelli che non stanno né col Pd né con i centri sociali - ha sommerso persino il polo rosso-verde di rifondaroli e ambientalisti guidati da Gianfranco Bettin, crollato dall’8% a poco meno del 3. Poi c’è la Lega e l’effetto Luca Zaia, che alle Regionali si è preso rivincite che per un trevigiano di Godega di Sant’Urbano valgono l’intera carriera politica. A Cannaregio, uno dei sestieri da sempre di sinistra nel cuore di Venezia, Zaia è stato il più votato. La Lega viaggia al di sopra del 14%, il triplo dei consensi delle comunali di cinque anni fa, quando Giorgio Orsoni, l’ex sindaco travolto dalla scandalo Mose e procuratore di San Marco, vinse al primo turno con il 51% dei voti contro Renato Brunetta. Chiudono il cerchio Francesca Zaccariotto, ex presidente leghista della Provincia di Venezia ed ex leghista con quasi il 7%, e il movimento Cinque stelle che tracima oltre il 13.

La santa alleanza tra Lega, Zaccariotto e lista Brugnaro, imprenditore ed ex presidente degli industriali di Venezia, è pronta a sferrare l’attacco finale. L’accordo è fatto: Gian Angelo Bellati della Lega dovrebbe essere vicesindaco, alla Zaccariotto andrà un superassessorato o, si mormora, la delega alla città metropolitana. «Io so come creare lavoro» dice Brugnaro, fondatore di Umana, una società di lavoro interinale. E ammette di aver tirato fuori di tasca sua «tutto il possibile» per la campagna elettorale. Una franchezza che non gli ha nuociuto.

In casa Pd i problemi non mancano. Casson arruola nell’ordine: l’economista Francesco Giavazzi, il golden boy di Brugine, Renzo Rosso, l’inventore di Diesel, e il critico Philippe Daverio. Una campagna acquisti che non cancella le fratture in casa Pd. Casson è osteggiato da Massimo Cacciari, che per impedire la sua elezione a sindaco nel 2005 si candidò in extremis contro di lui. Alle primarie l’ex sindaco-filosofo ha sostenuto il giornalista Nicola Pellicani, figlio di Gianni, leader migliorista del Pci ai tempi di Berlinguer. Venezia è così. Baruffe chiozzotte e quarti di nobiltà politica. Tutto tra pochi intimi, perché ormai il centro storico conta meno di 55mila abitanti. Una città di commercianti, molti dei quali con gli occhi a mandorla, gondolieri e tassisti, con la retroguardia della classe operaia di Marghera che lotta per non soccombere.

E i renziani? Il giovane Jacopo Molina, arrivato terzo alle primarie e spina nel fianco della maggioranza guidata da Orsoni nel vecchio consiglio comunale, ha persino rinunciato a candidarsi. «Avanti le nuove leve» ha detto, ritagliandosi con qualche forzatura un ruolo di padre nobile senza neppure un capello bianco. Se si passa dalle lotte interne al Pd a i conti di Ca’ Farsetti, pure l’ironia appare di colpo fuori luogo. Il Comune è stracarico di debiti. La gestione commissariale ha chiuso poco prima delle elezioni uno dei peggiori bilanci preventivi della storia: indebitamento di 72 milioni, multa per violazione del patto di stabilità di 55. La mancanza di soldi e i drastici tagli al welfare, una volta orgoglio delle amministrazioni di sinistra, alimentano risentimenti e fratture. Che oggi finiranno direttamente nelle urne elettorali.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenta la notizia