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Questo articolo è stato pubblicato il 16 giugno 2015 alle ore 06:57.

Roma

«Il risultato è politicamente e numericamente negativo», ammette Matteo Renzi con i suoi dopo una giornata senza commenti ufficiali e interamente dedicata al governo. «È un risultato molto a macchia di leopardo - è il ragionamento di Renzi - difficile equiparare Lombardia e Venezia, Arezzo con Viareggio, Lazio e Campania... Non c’è un vento unitario a livello nazionale ma il risultato è numericamente e politicamente negativo». Una sconfitta che brucia, senza dubbio. E quello fotografato ieri è un Pd che si lecca le ferite. Un colpo inatteso al partito di Renzi non solo nella Venezia governata da 22 anni dal centrosinistra e persa dal candidato Felice Casson, battuto dall’indipendente Luigi Brugnaro con il sostegno dell’intero centrodestra (Fi, Lega Ncd e Fdi), ma anche nella “boschiana” Arezzo dove a perdere è stato il renziano Matteo Bracciali. E poi la caduta di storici feudi come Fermo, Matera e Nuoro e la perdita della Gela di Rosario Crocetta in favore del M5S. E clamoroso, sempre restando in Sicilia, è anche il flop a Enna: l’ex senatore Vladimiro Crisafulli, che a ogni elezione si vantava di vincere «anche col sorteggio», perde proprio nella sua città, dove si candidava per la prima volta a sindaco contro la volontà di un pezzo del partito nazionale. Proprio (e solo) sulla sconfitta di Crisafulli il premier si sente tuttavia di prendere le dovute distanze: non a caso - sottolineano i suoi - a Crisafulli abbiamo tolto il simbolo del Pd(si veda l’articolo in pagina).

«Aver riconquistato città simbolo come Mantova o Trani o confermato buoni amministratori a partire da Lecco non è sufficiente a giudicare positivo questo risultato. L’analisi puntuale conferma che il Pd è nettamente il primo partito in Italia anche nel numero dei sindaci, ma non è sufficiente a farci brindare stanotte», aveva ammesso in giornata il numero due del Pd Lorenzo Guerini in una nota del partito in cui si parla di «luci e ombre». Ma è certo con le ombre che dovrà fare i conti il Pd di Renzi, e non solo di Renzi dal momento che questi risultati - come ammette un esponente della minoranza “dialogante” - interrogano tutto il partito.

La giornata di Renzi è stata tutta incentrata sul governo: incontri con Delrio, Padoan, Bassanini e Alfano che nella sua veste di ministro degli Interni oggi incontrerà i colleghi europei sul tema caldo dell’immigrazione. Il messaggio è chiaro: «Il fuoco delle riforme non si ferma». Chi pensa, a cominciare dalla minoranza del Pd più agguerrita, che Renzi dopo questo turno di amministrative scenderà a “più miti consigli” ha fatto male i suoi calcoli. Tutt’altro: «Ho sbagliato io quando mi sono fermato a discutere a ogni piè sospinto», è stato lo sfogo del premier. «È arrivato il momento - chiosa un suo stretto collaboratore - in cui Renzi torni a fare Renzi, senza le estenuanti mediazioni di questi mesi. E torni a girare il Paese». Questo non significa che si tenterà di coinvolgere il più possibile la minoranza “dialogante”: entro fine mese dovrebbe esserci il riempimento delle caselle mancanti al governo e proprio ad uno degli esponenti di quella minoranza, Enzo Amendola, andrà il posto da viceministro agli Esteri lasciato libero da Lapo Pistelli. Oggi l’assemblea dei deputati del Pd eleggerà Ettore Rosato capogruppo, e il posto di capogruppo vicario andrà con ogni probabilità ad un altro esponete della minoranza come Matteo Mauri o Donata Lenzi. Ma il treno delle riforme va avanti.

Sul fronte opposto buon risultato politico per il Movimento 5 Stelle, che vince in tutti e 5 i Comuni dove è andato al ballottaggio: non solo ad Augusta e a Gela in Sicilia, ma anche a Venaria (Piemonte), Quarto (Campania) e Porto Torres (Sardegna). Ha buon gioco Beppe Grillo a parlare di «filotto»: «L’onestà sta tornando di moda. Ed è solo l’inizio». I grillini, forti di un Italicum che prevede il premio alla lista e il ballottaggio nazionale, già guardano con qualche speranza alle prossime politiche: «Questo conferma le enormi possibilità che abbiamo di governare il Paese accedendo al ballottaggio nazionale», fa notare Luigi Di Maio, giovane vicepresidente della Camera. Aria di rivalsa anche nel centrodestra, con Silvio Berlusconi descritto da chi gli ha parlato come letteralmente ringalluzzito dai risultati: «Il renzismo è in declino, uniti si vince», dice pensando al suo sogno di una «casa dei moderati». Anche Matteo Salvini sembra aver capito il messaggio, che uniti si vince, e annuncia l’imminente incontro con Berlusconi: «Ho in programma un incontro con Berlusconi per capire se possiamo ragionare assieme ad esempio sull’Europa. Ci stiamo preparando per un governo alternativo, vediamo se Berlusconi è interessato alle nostre proposte», dice il leader leghista confermando la sua idea che per scegliere la premiership del centrodestra lo strumento giusto sono le primarie. Quanto al leader del Nuovo centrodestra Angelino Alfano, fa notare che a vincere sono e candidature moderate e che i vincitori di Venezia e di Chieti sono candidati ai Area popolare. «Il centrodestra vince - è il ragionamento che si fa in ambienti alfaniani -soltanto quando individua un esponente di area moderata». Il corollario per gli alfaniani è che la leadership di Berlusconi, come si vede anche dai risultati di Fi a Venezia, non traina più.

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