Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2015 alle ore 08:44.

My24

Caro Direttore,

sul caso della Grecia e della sua decisione di chiedere al popolo di accettare o respingere l’accordo proposto dall’Unione Europea si sono sentiti o letti i giudizi più disparati, una vero profluvio di argomenti che certamente hanno confuso le idee dell’uomo della strada ma, mi auguro, non quelli delle élite che ci governano. Il tuo editoriale sul giornale di ieri porta chiarezza; giustamente affermi che è uno shock salutare per l’intera Europa e l’Italia, contrariamente a ciò che dicono le autorità, ne resterà coinvolta, ma saprà assorbirlo non trovandosi nelle condizioni del 2011. I No in Grecia hanno vinto nettamente. Ben capisco il differente impatto politico ed economico se vincesse il Sì ma, nell’un caso o nell’altro, la situazione nell’Ue e per l’euro non sarà più quella di prima. Se, come ritengo e predico inutilmente (come Einaudi), se il problema da risolvere resta quello di aumentare l’Iva greca dell’1% per avere un avanzo di bilancio pubblico più elevato e altri piccoli sacrifici, allora è un’intera classe dirigente che ha fallito il suo compito e prima o dopo qualcosa di brutto accadrà. La storia economica ci insegna che un’architettura istituzionale mal congegnata non sopravvive: la Bce non ha i poteri propri di una banca centrale; la Commissione è costretta a restare un club di burocrati; il Parlamento europeo è una brutta copia di quelli nazionali e così via. Gli ultimi esempi eclatanti sono la fine dell’Accordo di Bretton Woods, che ci ha dato grande benessere, ma era viziato dalla convertibilità del dollaro in oro a prezzi fissi (il paradosso di Triffin), e la caduta dell’URSS, viziato dal peso eccessivo delle ideologie e dal peso minimo assegnato ai bisogni dei cittadini, una situazione che oserei considerare simile a quella dell’Unione Europea.

Se i gruppi dirigenti europei e quelli dei paesi che sorreggono le attuali scelte deflazionistiche insistono nell’imporre la logica autoritaria che solo i forti possono sopravvivere e beneficiare del benessere, mentre i deboli devono soggiacere alla loro indigenza, se non proprio povertà, confermeranno d’essere incapaci di trovare una soluzione per tenere unita l’Europa. Tu indichi due decisioni per dimostrare che lo shock greco è stato salutare e che ho sostenuto più volte anche sui quotidiani da te diretti: 1. Finanziare gli investimenti infrastrutturali d’interesse comune valutati con un’analisi costi-benefici sociali del tipo usato dalla Banca Mondiale (quello che tentai di introdurre in Italia con Giorgio La Malfa, Michele Fratianni ed Enzo Grilli), inventando uno strumento europeo o usando più estensivamente la Bei. Il marchingegno del Piano Juncker è la dimostrazione che ogni idea intelligente passa per il filtro della filosofia di governo fallita con la crisi greca. 2. Far confluire l’eccesso di debito in un fondo costituito presso la Bce o altrove, ma dalla prima finanziato e gestito secondo i tempi di riassorbimento del paese che ne beneficia. Da quel momento la domanda di un pareggio di bilancio previsto dal fiscal compact acquisirebbe significato strumentale. La Germania ricordi il Piano Young, che sostituì il Piano Dawes, che diede sollievo al paese dopo la sconfitta della Prima guerra mondiale e fu considerato «la fine di ogni pregiudizio politico. Oppure il condono parziale del debito estero noto come Abkommen über deutsche Auslandsschulden e Londoner Schuldenabkommen, concesso da molti paesi, compresa l’Italia, dopo una lunga negoziazione conclusa a Londra nel 1953. La memoria corta è un brutto difetto di Schäuble e della Merkel. Basta con i pregiudizi politici nei confronti degli altri. Lo strumento da usare preesisteva nel nostro Paese ed era collocato presso la Banca d’Italia e si chiamava Fondo di stabilizzazione valori industriali; esso fu creato nel 1927 per affiancare la stabilizzazione della lira e usato ancora nella Grande crisi del 1929-33.

Quindi, caro Direttore, aspettiamo e vedremo. Ma dopo aver visto, traiamone le conseguenze per la nostra collocazione europea e internazionale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenta la notizia