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Questo articolo è stato pubblicato il 11 luglio 2015 alle ore 08:13.

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Prima erano troppo giovani, ora sono troppo vecchie. Gira che ti rigira, il corpaccione della magistratura cammina con le gambe delle donne ma decide con la testa degli uomini. Le “pari opportunità” restano sulla carta quando si tratta di scegliere i capi degli uffici giudiziari o, addirittura, vengono declinate al maschile. Come fa la riforma della dirigenza, in fase di approvazione da parte del Consiglio superiore della magistratura, che non solo non elimina ma anzi rafforza le cosiddette «discriminazioni indirette» in danno delle donne, confezionando un sistema tutto al maschile, in barba al principio della parità di genere garantito dalla Costituzione e raccomandato dall’Ue.

Le donne magistrato, però, non ci stanno. Ieri hanno preso carta e penna e hanno scritto al presidente della Repubblica, che è anche presidente del Csm, al ministro della Giustizia e ai consiglieri di Palazzo dei Marescialli, per esprimere «fermo dissenso» al Testo unico sulla nuova dirigenza approvato in commissione, ora all’esame di un comitato paritetico (Csm-Ministero), e che entro luglio potrebbe avere il via libera del plenum. «Così com’è, è fortemente penalizzante per le magistrate perché non realizza la parità di armi tra uomini e donne» spiega Carla Lendaro, presidente dell’Associazione italiana donne magistrato (ADMI), secondo cui il testo «sta per essere approvato nel più assoluto silenzio» e senza alcun dibattito con «la base della magistratura».

Le donne sono entrate in magistratura 50 anni fa e sono ormai 4.584, la metà delle 9.247 toghe in servizio. Ma sono destinate ad aumentare perché, di concorso in concorso, ne entrano più degli uomini (il 63%). A causa della loro relativamente scarsa anzianità di servizio, sono poche ai vertici degli uffici: solo il 21% rispetto ai 249 magistrati con incarichi direttivi; nei posti semidirettivi, uno su tre è “rosa”; ma negli uffici di Procura le percentuali si riducono al 12 e al 18%. Ai meccanismi di esclusione del sistema si aggiunge, spesso, la scelta delle donne di autoescludersi dai “tornei” per la dirigenza a causa della difficoltà concreta di conciliare il carico familiare (figli o genitori anziani) con l’attività di magistrato. Perciò non hanno la stessa facilità degli uomini a cambiare sede o ad accettare incarichi extragiudiziari. Nella lettera-denuncia lo dicono senza mezzi termini, ricordando che nell’ultimo quadriennio soltanto 46 incarichi direttivi sui 298 conferiti sono stati ricoperti da donne, e di quei 46 soltanto 16 comportavano un cambiamento di sede.

La bozza di riforma non si fa carico di questa realtà né di creare le condizioni per una «parità di armi», ma agevola la dirigenza maschile. Basti solo pensare che prima, cioè quando si arrivava ai vertici giudiziari essenzialmente per anzianità di servizio, le donne magistrato erano «troppo giovani» per ambirvi mentre oggi, visto che la riforma considera quasi residuale il criterio dell’anzianità, sarebbero «troppo vecchie» (sic) e verrebbero scavalcate da colleghi molto più giovani che hanno avuto la possibilità di precostituirsi titoli per avanzare rapidamente in carriera. Paradossalmente, questa riforma taglierebbe fuori dalla corsa ai vertici le donne finalmente giunte ai livelli più alti di valutazione (tra il V e il VII). «Occorre adottare - si legge nella lettera-denuncia - criteri di effettiva valorizzazione delle donne giudici, con l’individuazione di parametri, oggettivi e predeterminati, prevalentemente incentrati sullo svolgimento della funzione giudiziaria e non su “titoli” acquisiti aliunde, come nel mondo accademico, associativo o in convegni». Queste ed altre «medagliette» non devono entrare nella valutazione, che rischia di essere troppo discrezionale, tanto più a fronte dell’«integrale abolizione» del criterio dell’anzianità, mentre «l’esperienza maturata sul campo, negli uffici, resta di per sé un valore positivo».

Le controproposte non mancano ma, sottolinea Lendaro, «il documento è politico e la nostra è una battaglia almeno per le più giovani». Perché una cosa è certa: il futuro della giustizia è femmina.

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