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Questo articolo è stato pubblicato il 19 luglio 2015 alle ore 08:10.

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«L’economia si è rimessa in moto ora serve il salto di qualità». Per realizzarlo Matteo Renzi, dal palco del padiglione Expo affittato per l’occasione, annuncia che a partire dalla prossima legge di stabità lancerà per il triennio 2016-2018 una vera e propria «rivoluzione copernicana» sul fisco: via dal 2016 la tassa sulla prima casa, l’Imu agricola e sugli imbullonati; nel 2017 taglio di Ires e Irap; nel 2018 rimodulazione degli scaglioni Irpef e pensioni.

«Il Pd non sarà più il partito delle tasse - assicura il premier difronte all’assemblea del suo partito - diventiamo il primo partito che le tasse, a differenza degli altri che hanno fatto la finta, le riduce davvero». Una vera e propria «rivoluzione copernicana» che « non ha paragoni nella storia repubblicana». Un risultato che arriverà «senza colpi a sorpresa», tenendo sotto controllo la curva del debito, rispettando i parametri «anacronistici» di Maastrischt: «Dal 2016 l’Italia sarà tra i pochi Paesi a rispettare il principio del 3%, a far calare la curva del debito sia pure un po’ meno rapidamente di quanto vorrebbe il fiscal compact». Lo dice attaccando contemporanemente la ricetta rigorista che comanda in Europa e dicendosi pronto ad accogliere la proposta di Zingaretti per un vertice a Ventotene con gli altri leader europei per ritrovare, là dove tutto ebbe inizio, i valori costitutivi dell’Unione. Tra gli impegni, Renzi conferma anche la volontà di spendere entro il 2016 i 20 miliardi stanziati per investimenti e opere infrastrutturali .

Un programma ambizioso, che ha le fondamenta nelle riforme realizzate dal suo governo, dal jobs act alla riduzione del costo del lavoro, e grazie alle quali - rivendica - l’Italia è ripartita. La produzione industriale è cresciuta del 3 per cento: «È la risposta a chi prevedeva un’Italia solo a vocazione turistica». Cita i dati di Bankitalia: «Il primo trimestre 2015 è il primo positivo dopo 11 trimestri consecutivi, i mutui sono aumentati del 60%, cresce l’uso delle carte di credito, i consumi tornano al segno più dopo tre anni».

Renzi avverte però che la condizione imprescinibile è andare avanti senza indugio sulle riforme. A partire da quella costituzionale, che il Senato deve licenziare «entro settembre, prima della legge di stabilità» perchè «senza le riforme costituzionali casca anche il castello che ci può permettere una maggiore flessibilità e di realizzare la riforma fiscale». Anche la riforma dei diritti civili va risolta «una volta per tutte entro la fine dell’anno».

Renzi parla per quasi un’ora e mezza. Ai «mugugni» interni dedica poco spazio.«Non passerò i prossimi due anni a sedare liti interne, a seguire o fondare correnti, a giocare all'allegro chirurgo delle appartenenze», taglia corto. La posta in gioco è «il cambiamento dell’Italia, non discutere tra noi». Gli avversari sono «il populismo 5 Stelle, la sinistra radicale che qualcuno dice sia possibile (il riferimento è al movimento di Pippo Civati Possibile, ndr) anche se noi pensiamo sia improbabile, e la destra becera della Lega Nord», attacca Renzi, ironizzando sulle felpe «No euro» di Matteo Salvini («lo vada a dire agli imprenditori del Nord Est che corrono più dei tedeschi di uscire dall’euro»). La delusione per i risultati elettorali per Renzi è legittima ma è stata enfatizzata fin troppo. D’accordo «abbiamo perso la Liguria e alcune città importanti come Venezia e Arezzo», ma «siamo i il primo partito in Italia e in Europa, chi dice che il Pd è in crisi ha preso un colpo di caldo». Renzi non gioca in difesa. Rivendica il patto con Berlusconi sulle riforme («Lo rifarei 10, 100 volte») così come la scelta di eleggere Sergio Mattarella («Dissi che non avremmo permesso a Berlusconi di fare il king maker dell’elezione del presidente della Repubblica e così abbiamo fatto».

In platea spiccano le assenze di Massimo D’Alema, Rosy Bindi e Pier Luigi Bersani. Per la minoranza dem ci sono invece Roberto Speranza e Gianni Cuperlo che accolgono tiepidi le parole del segretario. «Ho sentito impegni molto importanti che condivido e ai quali vorrei si aggiungesse anche la lotta all’evasione fiscale», ha detto Speranza. Dura la reazione di Salvini. «Ma che pensa che siamo scemi?!», attacca il segretario della Lega con riferimento agli impegni fiscali del premier. Scettico, anche Silvio Berlusconi: «Siamo pronti a votare il taglio delle tasse, se davvero lo presenteranno, ma davvero ci credete?».

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