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Questo articolo è stato pubblicato il 20 luglio 2015 alle ore 06:35.

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Chi è in cerca di un corso di laurea ad alto tasso di esperienze lavorative, sotto forma di stage e tirocini, può guardare prima di tutto a Brescia, all’università del Piemonte orientale o a Verona; chi punta invece sulla dimensione internazionale, e vuole quindi un ateneo attento alla possibilità di fare all’estero un pezzo di strada accademica, farà bene a rivolgere l’attenzione allo Iuav di Venezia o a Trento, mentre chi pensa già al dopo ed è alla caccia di un contesto caratterizzato da dottorati di alto livello e da una produzione scientifica competitiva non dovrebbe trascurare Padova, il Politecnico di Torino e soprattutto Verona.

E proprio un balzo in avanti dell’Università di Verona fra gli atenei statali, e della Bocconi fra i non statali, caratterizza la nuova edizione delle “classifiche della qualità” universitaria che Il Sole 24 Ore realizza ogni anno grazie alle informazioni messe a disposizione dalle banche dati di ministero dell’Università e Anvur. Dati che, nonostante gli aggiornamenti generalizzati, mostrano una certa stabilità nelle performance dei singoli atenei, e sembrano indicare una polarizzazione crescente fra le università che riescono a garantire risultati di eccellenza e quelle che invece faticano, sia per problemi propri sia per le caratteristiche del contesto in cui operano. È bene sottolineare da subito, però, che se le graduatorie generali sintetizzano la condizione complessiva degli atenei, sono i singoli indicatori a mostrare con puntualità i risultati ottenuti dalle strutture nei diversi campi, compreso il giudizio degli studenti che invece fatica a entrare nei modelli ufficiali per l’attribuzione dei finanziamenti «meritocratici». Ognuno, insomma, può effettuare una valutazione “personalizzata”, guardando ciò che più gli interessa di ogni università: proprio per questo, all’interno dello speciale dedicato alle classifiche sul sito internet del nostro giornale (www.ilsole24ore.com/classificheuniversita) è possibile attribuire pesi diversi a ciascun indicatore, così da costruire una graduatoria personalizzata.

Partendo dai risultati complessivi, la prima novità che si incontra rispetto all’edizione pubblicata dodici mesi fa nasce dal fatto che entrambe le graduatorie, quella dedicata agli atenei statali e quella che si concentra sui non statali, sono guidate da due primatisti solitari. Nel primo gruppo, ovviamente più numeroso, il gradino più alto è occupato dall’università di Verona, che l’anno scorso lo condivideva con quella di Trento oggi seconda. Ora è il terzo posto a essere diviso fra due atenei, perché l’Alma Mater di Bologna raggiunge sull’ultimo scalino del podio il Politecnico di Milano.

A spingere Verona, oltre ovviamente al livello generalmente alto ottenuto dall’ateneo in tutti gli indicatori (condizione indispensabile per occupare i primi posti in graduatoria) ci sono due fattori in particolare: il numero di crediti formativi che gli studenti riescono a ottenere nelle attività di stage e tirocini presso le aziende, che rappresentano un fattore di sviluppo molto importante per le università in questa fase, e un tasso di occupazione degli ex studenti a un anno dal titolo fra i più alti in Italia: difficile non vedere un collegamento fra questi due elementi.

Passando agli atenei non statali, Bocconi e Luiss scalzano dalla vetta il San Raffaele. A far primeggiare l’ateneo milanese è un’eccellenza quasi generalizzata, dall’attrattività nei confronti degli studenti di altre regioni alla struttura docente, accanto a un bassissimo tasso di dispersione (93 studenti ogni 100 confermano la propria scelta al secondo anno) e alle molte esperienze internazionali realizzate dagli studenti. Ma dal momento che tutto si può migliorare, va segnalato che sul versante dei crediti riconosciuti a stage e tirocini c’è chi fa meglio, e lo stesso avviene per quel che riguarda le borse di studio. Per la Bocconi, come accade anche per Cattolica, Luiss e un gruppo ormai largamente minoritario di atenei statali, non è stato inoltre possibile mettere a confronto il tasso di occupazione a un anno dal titolo, dal momento che queste università non hanno ancora aderito al consorzio AlmaLaurea che rappresenta ormai l’unica fonte che raccoglie i dati in modo omogeneo e confrontabile a livello nazionale.

Nel caso della Luiss, i numeri più brillanti riguardano la “puntualità” e il successo agli esami degli studenti, che in più di metà dei casi arrivano da fuori Lazio, e la capacità di mettere in campo dottorati di livello e di ottenere finanziamenti esterni per i progetti di ricerca.

Primatisti a parte, è da sottolineare che i ranking di quest’anno confermano i buoni risultati delle università ormai abituate alle zone alte delle classifiche, come accade per esempio a Bologna e Padova fra le statali e a Luiss e San Raffaele fra le non statali. E altre conferme arrivano purtroppo sul fatto che cresce d’intensità la “questione accademica meridionale”, evidenziata dalle posizioni di coda occupate integralmente da atenei del Sud, che spesso registrano parecchi peggioramenti anche nei singoli indicatori.

Se la classifica generale offre un quadro sintetico, inevitabilmente influenzato dalle scelte su modalità di calcolo e pesatura dei diversi fenomeni nell’indice finale (per tutto questo si rimanda alla nota metodologica pubblicata in pagina), sono i singoli indicatori a offrire i dati più puntuali, che consentono una doppia lettura. Oltre al valore assoluto e al livello raggiunto rispetto agli altri atenei, che interessa da vicino studenti e famiglie che vogliono individuare punti di forza e di debolezza delle università (e dei singoli corsi di laurea grazie ai dossier di documentazione che saranno messi a disposizione nello Speciale università sul sito internet), docenti e amministratori degli atenei faranno bene a concentrarsi anche sull’evoluzione dei risultati conseguiti in ognuno dei parametri rispetto allo scorso anno.

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