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Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2015 alle ore 06:36.

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MILANO

Tanti tagli, ma nessuna spending review. Gli ultimi otto anni della finanza locale si possono riassumere così, almeno secondo la sezione delle Autonomie della Corte dei conti che li ha tradotti in numeri nella relazione al Parlamento sui bilanci di Regioni e Comuni diffusa ieri con la delibera 25/2015.

Di manovra in manovra, i numeri si sono fatti enormi. Tra 2008 e 2015, l’effetto cumulato in termini di contributo all’indebitamento netto arriva a 40 miliardi, 21 per le Regioni e 19 per gli enti locali. Ma i numeri sono analoghi anche in fatto di trasferimenti statali, quindi nella voce che incide sul saldo netto da finanziare, con le forbici che hanno agito per 17,5 miliardi sulla sanità, per 10 miliardi sulla gestione extrasanitaria delle Regioni e 12 miliardi sugli enti locali. Eppure la spesa sanitaria «rimane sempre elevata» (+2,9% di aumento medio negli ultimi anni), le uscite correnti regionali in campo non sanitario mostrano «una leggera, tendenziale crescita», mentre nei Comuni si registra una riduzione, tuttavia «contenuta».

Quali sono stati, allora, i risultati della maxi-cura pluriennale? In sintesi, il crollo degli investimenti, sia regionali sia comunali, e il boom di tasse e anticipazioni di liquidità, nel tentativo di abbassare la febbre delle casse. La grande assente, sostengono i magistrati contabili, è stata infatti la spending review, come il «progetto di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard» e, per i Comuni, l’attuazione effettiva delle gestioni associate obbligatorie da cui «dipende buona parte del recupero di efficienza» degli enti locali. Su questi punti, aggiunge la relazione, «non sembra arrivare un significativo impulso» nemmeno «dai più recenti interventi normativi». L’appuntamento, insomma, è per la manovra d’autunno.

Nel capitolo Comuni ancora una volta si incontra il fenomeno dell’overshooting, cioè del superamento in eccesso degli obiettivi che abbatte gli investimenti più del necessario. Un fenomeno che deriva dalle difficoltà di programmazione e che, secondo la Corte, non trova rimedio nemmeno nella riforma appena approvata con il decreto enti locali.

gianni.trovati@ilsole24ore.com

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