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Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2015 alle ore 06:37.

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L’intervento militare turco contro lo Stato Islamico e le milizie curde del PKK rende ancor più complesso e per molti versi ambiguo l’intervento della Coalizione internazionale mobilitata ormai da un anno contro lo Stato Islamico sotto la guida statunitense.

Difficile comprendere come si possa combattere l’Isis colpendo quei miliziani curdi che difesero strenuamente Kobane così come pare evidente che l’obiettivo di Ankara (sostenuto da Washington) di istituire una zona cuscinetto e no fly-zone sul nord della Siria punti a indebolire più il regime di Bashar Assad che il Califfato.

Paradossi di una Coalizione che tiene al di fuori coloro che con più convinzione combattono l’Isis, cioè l’Iran e Damasco, mentre non mancano certo le perplessità sul ruolo delle monarchie sunnite del Golfo, impegnate più ad aiutare le milizie jihadiste anti-Assad (inclusi i qaedisti di al-Nusra) che a bombardare Raqqa e le altre città in mano all’Isis.

In un contesto che vede una progressiva destabilizzazione dell’area medio orientale si inserisce il crescente ruolo che l’Italia sembra intenzionata a ricoprire nelle operazioni contrlo Stato Islamico, emerso in particolare dopo gli attentati di Tunisi e Sousse che hanno evidenziato come il nemico sia alle porte.

Roma schiera 500 militari tra Baghdad, Erbil (Kurdistan iracheno) e il Kuwait. Poco più di 200 costituiscono il contingente dell’aeronautica basato in tre aeroporti kuwaitiani con 4 bombardieri Tornado privi di armamento e impiegati solo come ricognitori, 2 droni Predator e un’aerocisterna KC-767A. Nella capitale irachena operano una cinquantina di consiglieri militari assegnati ai comandi iracheni, a Erbil sono presenti circa 200 militari dell’esercito, per metà istruttori (inclusi una cinquantina di uomini delle forze speciali) che insieme a colleghi tedeschi, britannici, norvegesi, olandesi e finlandesi hanno già addestrato 2.500 peshmerga curdi.

Almeno la metà sono stati istruiti dagli italiani (che costituiscono il contingente più numeroso tra i 530 militari europei del Kurdish Training Coordination Center) al tiro di precisione, all’uso dell’artiglieria, alla lotta agli ordigni improvvisati e all’impiego delle armi anticarro “Folgore” donate da Roma insieme a mitragliatrici e munizioni. Un impegno che verrà rafforzato con l’invio, in settembre, di 110 carabinieri dei reparti d’élite della Seconda brigata mobile che a Baghdad ed Erbil addestreranno la polizia irachena all’antiterrorismo e contro-insurrezione. Un impegno sottoscritto a metà luglio a Baghdad dal ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ma gira voce che l’invio dei carabinieri sia stato chiesto dal generale John Allen, inviato speciale della Casa Bianca per la lotta all’Isis e di fatto “coordinatore” della Coalizione che aveva già apprezzato l’addestramento impartito dall’Arma agli agenti iracheni e afghani.

Con oltre 600 militari, il contingente dell’operazione “Prima Parthica” (dal nome di una legione romana costituita in Siria nel IV secolo) si avvia a diventare il più numeroso tra quelli che l’Italia schiera oltremare dopo i 1.100 caschi blu in Libano superando le forze dislocate in Kosovo (550 militari) e in Afghanistan dove sta smobilitando la base di Herat e da ottobre resteranno solo 70 militari a Kabul. L’operazione in Iraq è già la più costosa tra quelle in atto con uno stanziamento di 135 milioni per i primi nove mesi dell’anno contro i 126 della missione afghana e i 120 di quella libanese.

Il crescente ruolo italiano contro l’Isis resterà limitato all’addestramento delle truppe irachene: il governo sembra infatti intenzionato a resistere alle pressioni degli ambienti militari che vorrebbero venisse autorizzato l’impiego di bombe e missili sui jet Tornado. Del resto i velivoli italiani che sorvolano lo Stato Islamico hanno già subito le “attenzioni” della contraerea jihadista e gli equipaggi corrono gli stessi rischi dei loro colleghi della Coalizione al cui interno solo i velivoli italiani non possono utilizzare armamento.

La prudenza nell’autorizzare un impiego bellico delle forze aeree italiane sembra dettata dal rischio di rappresaglie jihadiste in Italia, reso ancor più concreto dall’arresto a Brescia di due persone accusate di voler compiere attentati contro la base aerea di Ghedi, la “casa” dei Tornado schierati in Kuwait. A conferma di come il “fronte interno” sia la vera prima linea in questo tipo di guerra tutti i militari assegnati a “Prima Parthica” appaiono col viso oscurato nelle foto e i loro nomi sono “top secret” per evitare di esporli a ritorsioni che potrebbero prendere di mira anche colleghi e famigliari.

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