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Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2015 alle ore 06:35.

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Il lavoro autonomo è un cantiere ancora aperto, almeno per quanto riguarda i profili giuslavoristici. Il legislatore negli ultimi anni - dalla legge Fornero del 2012 sino al decreto legislativo 81/2015, il testo unico sui contratti di lavoro appena approvato - ha tentato più volte di sistemare in modo stabile la materia, senza mai dare la sensazione di esserci riuscito.

Il fatto che si tratti di un cantiere aperto è confermato dal governo, che sembra intenzionato nei prossimi mesi a prendere l’iniziativa legislativa, introducendo un pacchetto di tutele in favore dei lavoratori autonomi. Ma qual è il motivo che spinge tecnici e decisori politici a interrogarsi sul tema?

Questa spinta viene dai grandi cambiamenti che hanno investito e stanno investendo il lavoro, in tutte le sue forme. La progressiva scomparsa del modello fordista e la crescita dell’economia digitale hanno messo in crisi lo schema tradizionale del lavoro subordinato, che non ha più - non può avere più - gli stessi confini di venti o trenta anni fa, quando la produzione di beni e servizi si svolgeva con forme e contenuti totalmente differenti da quanto accade oggi.

Nell’attuale contesto economico, la subordinazione somiglia sempre di più al lavoro autonomo, ma accade anche il contrario: nascono e proliferano rapporti che non possono essere collocati dentro lo schema tipico del lavoro subordinato, ma non sono neanche agevolmente collocabili dentro quello tradizionale del lavoro autonomo.

Un web designer, un consulente organizzativo, un mediatore culturale - si tratta solo di esempi, si potrebbero citare altre centinaia di nuovi lavori - sono figure che faticano a trovare una collocazione normativa adeguata.

Sono forme di lavoro normalmente regolate con lo schema della prestazione d’opera (o della nuova collaborazione coordinata e continuativa) ma caratterizzate da uno squilibrio economico (Marco Biagi, nel progetto di Statuto dei lavori elaborato ai tempi della collaborazione con Tiziano Treu, utilizzava la nozione comunitaria di “dipendenza economica”) che mal si concilia con la penuria di tutele che l’ordinamento riserva ai lavoratori autonomi tradizionali.

Il legislatore non può e non deve restare indifferente rispetto a questi cambiamenti, deve trova il modo di accompagnare le evoluzioni dell’economia e, se necessario, intervenire per colmare quelle lacune che si vengono a creare per l’obsolescenza normativa.

Nel caso del lavoro autonomo, questa spinta dovrebbe tradursi nella ricerca di un nuovo equilibrio tra la salvaguardia delle caratteristiche tipiche di questo tipo contrattuale (l’assenza di un vincolo di subordinazione, la mancata soggezione al potere direttivo e organizzativo di un terzo) e la necessità di riconoscere tutele capaci di bilanciare la situazione di “dipendenza economica” dei nuovi lavoratori.

Queste tutele possono essere di varia natura: di tipo previdenziale (scelta che può tradursi, in un sistema totalmente improntato alla logica contributiva, in un maggiore costo di finanziamento) e di tipo contrattuale (disciplina delle invenzioni e della proprietà intellettuale, regole per i casi di cessazione del rapporto, tutele in caso di malattia, gravidanza e maternità, eccetera).

Il governo sembra intenzionato a seguire queste linee guida nella propria proposta legislativa ma al momento il progetto non ha contorni definiti, vedremo nei prossimi mesi cosa accadrà. Nel frattempo, gli operatori dovranno ricostruire in maniera attenta le tante evoluzioni normative degli ultimi anni.

Dopo che la legge Fornero avevo introdotto un complicato meccanismo di presunzione di subordinazione, il Dlgs 81/2015 imbocca una decisa retromarcia, cancellando quel sistema che aveva dato luogo a grandi complicazioni applicative, senza offrire una reale crescita nelle tutele e senza frenare in alcun modo gli abusi.

La novità renderà la vita più semplice ai committenti dei professionisti non iscritti agli albi, che non dovranno più effettuare il monitoraggio costante di alcuni indicatori (volume del fatturato, monocommittenza eccetera) che prima facevano scattare in automatico la subordinazione.

Questa semplificazione deve essere, tuttavia, letta in combinazione con l’altra novità del Dlgs 81/2015 ha chiarito che tutte le collaborazioni personali, di carattere coordinato e continuativo, quando sono organizzate dal committente devono essere disciplinate dalle regole del lavoro subordinato.

Questa norma, pensata per la tradizionale collaborazione coordinata e continuativa, rischia di diventare il grimaldello per scardinare molti rapporti nati come prestazione di lavoro autonomo. Se questo accadesse, non sarebbe un esito positivo per un sistema che, per quanto detto sopra, dovrebbe cercare di aggiornare le proprie regole dalle fondamenta, invece che limitarsi ad applicare soluzioni tampone, incapaci di cogliere le evoluzioni del mercato del lavoro.

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