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Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2015 alle ore 06:38.

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ROMA

Matteo Salvini è tranchant. Primarie sempre. «Non è più tempo di decidere nel buio di qualche stanza» dice il leader della Lega. Una presa di posizione netta che arriva proprio all’indomani del «no» ribadito da Silvio Berlusconi alle primarie, per cancellare le aperture di Giovanni Toti a favore del ricorso alla consultazione dal basso per la scelta dei candidati.

Probabilmente la smentita di Berlusconi più che il merito riguarda il metodo. Già perché se è vero, come ha ricordato anche Renato Brunetta, che non molto tempo fa Fi si era detta favorevole alle primarie in mancanza di un accordo tra i partiti su un candidato comune, è altrettanto verosimile che al Cavaliere non sia troppo piaciuta l’uscita non concordata del governatore ligure. Una tirata d’orecchie per ricordare che a decidere dentro Fi è sempre e solo Berlusconi. I due ieri si sono sentiti ed è scontato che si siano reciprocamente spesi per assicurarsi l’un l’altro che si è trattato solo di un banale misunderstanding. Un film già visto. Solo che a differenza di quanto accadeva in passato, quando le querelle rimanevano all’interno di Fi (o del Pdl), adesso c’è da fare i conti anche con un alleato assai ingombrante qual è Matteo Salvini. Le parole rilasciate al Tg3 dal leader della Lega («devono sempre scegliere i cittadini») rafforzano così i partitini del centrodestra dalla Meloni a Fitto che suggerisce di prendere come modello il partito repubblicano statunitense che «le primarie le fa». Ma anche a chi dentro Fi vorrebbe ricucire la distanza con il proprio elettorato non puntando solo sulla carta Berlusconi. «Credo che le primarie possano essere uno strumento di appello o di Cassazione qualora non ci sia l’accordo tra i partiti su un candidato», ha ribadito ieri Toti che nega contrasti con il Cavaliere («sulle primarie stiamo dicendo la stessa cosa, forse con qualche sensibilità diversa»). Una posizione che trova il sostegno di Brunetta e anche di Anna Maria Bernini. «Bisogna decidere caso per caso e con nostre regole – sottolinea la vicepresidente dei senatori di Fi – ma in alcune realtà, come ad esempio Bologna, dove la giunta a guida Pd è stata fallimentare, coinvolgere i cittadini nella scelta del candidato del centrodestra potrebbe essere la chiave per giocarci e vincere la partita».

Paradossalmente il ricorso alle primarie viene visto come una possibilità per l’elettorato di centrodestra moderato di non subire i diktat del Carroccio e di rilanciare i propri contenuti. La campagna elettorale permamente di Salvini, le prese di posizione contro la chiesa, l’annuncio della serrata autunnale vengono vissute con fastidio dagli azzurri. «Più che di primarie bisogna parlare di contenuti», avverte Maurizio Gasparri.

Berlusconi resta convinto che alla fine Salvini se vuole vincere a Milano così come alle politiche dovrà necessariamente scendere a patti con lui. «I candidati li scelgono i partiti», ha ripetuto anche l’altro giorno il Cavaliere. E proprio la vittoria di Toti in Liguria ne è l’esempio. Ma le ultime regionali hanno anche confermato che Salvini non è disposto a concedere solo quelle che ritiene poste minori. E certamente Milano non è tra queste. La guerra sulla scelta del candidato del centrodestra è già cominciata. Ieri non a caso Maria Stella Gelmini ha rilanciato le parole del centrista di Ncd Alessandro Colucci che rilanciava tra le altre anche la candidatura di Mauzio Lupi. «L’alleanza che governa la regione Lombardia, con tutte le sue componenti, è quella giusta per governare Milano», ha detto la Gelmini. Un messaggio chiaro indirizzato anzitutto a Salvini, che continua a ripetere di non voler fare alleanze con il partito di Angelino Alfano.

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