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Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2015 alle ore 06:36.
L'ultima modifica è del 29 agosto 2015 alle ore 08:51.

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Il giudice D’Alessandro è durissima nelle analisi e scrivendo del clima omertoso che si respira nel Lido romano, richiama alla memoria il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza. Il boss della famiglia mafiosa di Brancaccio (Palermo), riguardo agli interessi economici di Cosa nostra sul litorale laziale, nel 1996 dichiarò che «avevano il paese di Ostia nelle mani». Il riferimento era alla “gemmazione” ostiense della famiglia originaria di Siculiana (Agrigento) Cuntrera-Caruana, della quale Spatuzza doveva uccidere un elemento di spicco. L’omicidio non andò a buon fine perché Spatuzza venne arrestato il 2 luglio 1997.

L’indagine “Tramonto” della Gdf del 4 marzo 2014 smantellò, per l’ennesima volta, gli interessi della famiglia Fasciani a Ostia e mise a nudo, per usare ancora una volta le parole del Gip D’Alessandro, «un contesto spaventoso» nel quale «ha senso parlare di mafia». Una famiglia – anch’essa originaria dell’Abruzzo come i Casamonica – che sul litorale ha costituito un impero economico attraverso una serie di società nel settore della ristorazione, della gestione di stabilimenti balneari, delle discoteche e della rivendita e noleggio di auto.

Attraverso la cosiddetta “politica della mimetizzazione”, scrive la Gdf, il clan Fasciani è riuscito a nascondere i reali proprietari delle attività commerciali e, soprattutto, a preservare i patrimoni illecitamente accumulati, frutto dei reati di usura, estorsione e traffico di stupefacenti, peraltro accertati, in altri contesti investigativi, dalla stessa Direzione distrettuale antimafia di Roma. Il Gip D’Alessandro, nel delineare questa tattica scriverà: «E la ragion d’essere vera della mafia, che è in primis di perseguimento di potere economico, non più portatrice di sottoculture popolari, è la capacità di smantellare l’esistente, e con esso qualunque sistema di trasparente gestione o legittimante garanzia degli assetti economici, per inserire la distonica sopraffazione del privilegio ingiustificato, della forza prevaricante. Il ridisegno della costa e delle concessioni, oltre che del porto, è polo d’attrazione per le consorterie mafiose ed i loro disegni, in primis economici, ma anche consapevolmente tesi ad una regionalizzazione affaristica, e ad uno smantellamento dello Stato centrale, prendono corpo con chiarezza, ad un passo dalla completa realizzazione. Lo sfondo è quello dell’acquisizione sistematica di beni produttivi e della loro fittizia intestazione a prestanome: il denaro, ripulito, assume un senso e una giustificazione in quanto inserito nel circuito economico, e schermato da attività, che possono anche non avere una ragione logico-bilancistica ma servono a legittimare, dietro un titolo astratto, o più titoli astratti, privi, anche, sempre, della sottostante ricorrenza dei fatti, flussi finanziari imponenti, diversamente non spiegabili. Il conseguimento del profitto necessita dei prestanome».

La situazione di Ostia venne descritta ancora prima nell’audizione della Commissione parlamentare antimafia del 12 febbraio 2014. Quel giorno il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e il suo storico aggiunto Michele Prestipino Giarritta non usarono mezzi termini.

Quest’ultimo affermò che i due gruppi – in capo a Cuntrera-Caruana e Fasciani – si sono contesi il territorio e hanno avuto anche momenti di collisione di interessi, risolti nel classico modo con cui si risolvono le controversie tra gruppi mafiosi, cioè con un atto di forza al quale segue la pax mafiosa. «Si tratta di una pace che entrambi i gruppi hanno rimesso a un soggetto a cui veniva riconosciuta l’autorità mafiosa di governare il conflitto, di attribuire torti e ragioni e di stabilire le regole della futura convivenza e che ha visto – spiegò Prestipino Giarritta – da un certo momento in poi, la prevalenza di un gruppo, il gruppo autoctono, ma non ha visto la scomparsa degli altri. Questa pace, quindi, ha ingenerato, con una posizione di forza nuova e di rapporti di forza, la prevalenza di un gruppo sull’altro, ma anche la coesistenza pacifica sullo stesso territorio. Questo è un sintomo assolutamente significativo della presenza mafiosa».

E qualora il quadro non fosse stato sufficientemente chiaro per i commissari parlamentari antimafia, il procuratore aggiunto di Roma ricordò che ad un collaboratore di giustizia venne chiesto conto dell’uso della violenza ad Ostia. Gli venne domandato: «Bisogna ricorrere alle intimidazioni, al danneggiamento, all’incendio per esigere il pizzo?». E quello rispose, rivelò Prestipino Giarritta: «Macché, quando mai? No, no. La gente ha paura già di per sé. Ha paura di per sé sentendo il nome. Su dieci al massimo, una o due volte uno deve fare sentire qualche cosa».

.Guardie o Ladri

robertogalullo.blog.ilsole24ore.com

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