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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2015 alle ore 06:37.

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ROMA

Noto finora solo agli addetti ai lavori, il centro di assistenza richiedenti asilo (Cara) di Mineo, in provincia di Catania, si sta sgonfiando. Definito ««il più grande centro di accoglienza d’Europa», finito nel mirino delle procure di Roma e di Catania con l’inchiesta Mafia Capitale, (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), in questi mesi ha visto le presenze scendere in modo vistoso.

Siamo passati da circa 4.500 migranti a 3mila, una riduzione di un terzo su cifre, comunque, eccezionali rispetto alla media degli altri Cara, dove sono in ballo in ogni sede alcune centinaia di immigrati presenti. Diversi esponenti politici chiedono la chiusura di Mineo ma una decisione immediata di questo genere non è praticabile. Sarebbe molto difficile da gestire e ingiustificata, vista la pressione degli sbarchi così alta: al Viminale stimano che di certo si raggiungeranno i 170mila arrivi sulle coste italiane, come l’anno scorso.

Al ministero dell’Interno, tuttavia, da mesi sono in corso altre valutazioni, legate a motivi di gestione e di organizzazione. Fin dalla nascita un assembramento di migranti così ingente come quello del centro in provincia di Catania ha dato luogo a rischi continui di pubblica sicurezza. Li cita persino Luca Odevaine nelle sue spontanee dichiarazioni davanti ai magistrati della procura della repubblica di Roma. Lo stesso Odevaine racconta come al dicastero guidato da Angelino Alfano l’idea di chiudere Mineo era diventata concreta (si veda Il Sole 24 Ore del 7 giugno). Siamo nella primavera 2014: il Viminale apre una concertazione con Regioni e Comuni per rivedere tutto il sistema di accoglienza.

Nel progetto, oltre i porti di approdo, dopo i soccorsi in mare si ipotizzano «hub» regionali, intesi come centri post-sbarco, per i giorni iniziali di ospitalità, per poi distribuire su tutto il territorio nazionale gli stranieri nello Sprar - il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, che fa capo ai Comuni - o, se occorre, in altri centri di accoglienza. È quanto si sta facendo ormai adesso tutti i giorni, oltre le polemiche politiche, e il quadro sarà completo con la nascita degli hub regionali. In uno scenario del genere, dunque, un centro ipertrofico come Mineo non ha senso. E l’anno scorso, per due volte, al tavolo interistituzionale di coordinamento dell’accoglienza presieduto dal sottosegretario Domenico Manzione (Pd) Odevaine, in rappresentanza dell’Upi, obiettò riserve e contrarietà alla trasformazione e il ridimensionamento di Mineo.

Ed è molto probabile che quando, in un’intercettazione agli atti giudiziari, emerge che Odevaine ebbe un litigio con Manzione, il tema fosse proprio Mineo, visto che il sottosegretario sosteneva convinto il progetto di ridimensionamento e di trasformazione del Cara.

In attesa degli esiti giudiziari e di valutazioni spettanti alla politica, al ministero dell’Interno è stata fatta una scelta tecnica quasi banale: non inviare più al centro catanese i migranti approdati sulle coste italiane. Una decisione assunta con più di una motivazione. La pressione migratoria sulle strutture di accoglienza della Sicilia è diventata abnorme, a differenza di altre regioni recalcitranti sull’accoglienza come Veneto e Lombardia. La parcellizzazione degli invii di stranieri sul territorio, decisa dal Viminale per alleggerire le concentrazioni dei migranti nei centri urbani. La necessità di alleggerimento per un centro comunque con presenze in notevole eccesso rispetto ai posti disponibili, con rischi già riscontrati più volte di ordine pubblico.

Oggi Mineo dopo le vicende giudiziarie è commissariato su richiesta del numero uno dell’Anac (autorità nazionale anticorruzione), Raffaele Cantone. Le cifre delle presenze potrebbero scendere ancora, a breve, ma si conta anche sullo snellimento e l’accelerazione dei tempi di risposta delle commissioni territoriali di valutazione delle istanze di asilo o protezione internazionale. Tanto che l’Interno ha un confronto in corso con il Csm (Consiglio superiore della magistratura) e il ministero della Giustizia. Del resto già l’anno scorso l’idea non era di azzerare Mineo ma si ipotizzò di farne un’operazione graduale lasciando una quota di immigrati comunque nel centro: quelli con i familiari in loco, quelli ormai prossimi al giudizio della commissione sull’asilo. Ma il sottosegretario Giuseppe Castiglione, che aveva seguito la creazione e la gestione del centro fin dalla nascita, si oppose.

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