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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2015 alle ore 06:37.

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Il tavolo sulle riforme non è stato ancora apparecchiato. «Leggiamo di proposte, di ipotesi ma solo sui giornali....», conferma il bersaniano Miguel Gotor, uno dei 28 senatori della minoranza Pd che ha sottoscritto gli emendamenti all’articolo 2 per ripristinare l’elezione diretta al Senato. Una richiesta che il premier Matteo Renzi e la maggioranza Pd considerano impraticabile, in quanto «azzererebbe quanto fatto finora». Lo stallo è destinato però a risolversi nelle prossime settimane, visto che da martedì 8 la riforma costituzionale riprenderà il suo cammino al Senato.

L’attenzione è concentrata anzitutto sulla decisione del presidente del Senato Piero Grasso sull’emendabilità o meno dell’articolo 2. Pur avendo smentito di aver già preso una decisione, i boatos a Palazzo Madama ritengono «probabile» che alla fine Grasso possa decidere per un’emendabilità parziale dell’articolo 2. Si tratterebbe cioè di votare solo gli emendamenti relativi al comma in cui la Camera aveva modificato la proposizione «nei» in «dai» e non anche quelli che invece vorrebbero reintrodurre l’elezione diretta. Certo questo imporrebbe di (ri)votare l’articolo 2, ma si tratterebbe di un solo voto e non di 17 (tanti sono gli emendamenti presentati dalla minoranza dem), per non parlare delle migliaia (oltre 500mila) depositati in commissione Affari costituzionali dal leghista Roberto Calderoli. E proprio il numero abnorme di emendamenti in commissione, costringerà a inviare direttamente in Aula il provvedimento senza mandato al relatore. I numeri ufficiali dicono che Renzi, senza i voti della minoranza Dem, nonostante l’apporto dei 10 senatori di Denis Verdini, non ha la maggioranza.

Fi ha detto anche ieri che voterà contro. Ma in realtà la compattezza tra i senatori azzurri non è così granitica. Almeno così sussurrano gli stessi berlusconiani, convinti che al momento giusto qualcuno possa assentarsi per far abbassare il quorum (non è infatti necessaria la maggioranza assoluta) oppure votare apertamente a favore. Lo stesso potrebbe avvenire nella minoranza Dem, che anche in passato ha preferito non presentarsi in aula anzichè votare contro (l’astensione al Senato equivale al voto contrario). Se così fosse, la battaglia finale si sposterebbe in primavera, alla vigilia delle amministrative, quando invece servirà per l’approvazione definitiva la maggioranza assoluta.

Molto dipenderà da come Renzi arriverà a quell’appuntamento. Il premier punta tutte le sue carte sulla ripresa economica e sul taglio delle tasse che, ha anticipato, sarà attuato con la legge di stabilità. «I numeri dell’Istat ci dicono che l’Italia ce la può fare. Ora basta con polemiche e divisioni, andiamo avanti con le riforme del governo Renzi», scrive su twitter il senatore del Pd Andrea Marcucci. Il via libera del Senato al ddl Boschi è ritenuto dal premier fondamentale per accrescere il suo potere negoziale a Bruxelles. A a maggior ragione ora che la Commissione ha lasciato trapelare la sua contrarietà alla volontà del governo italiano di abolire la tassa sulla prima casa.

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