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Questo articolo è stato pubblicato il 03 settembre 2015 alle ore 06:36.
ROMA
Un tetto per Comuni e Regioni partendo dal criterio dell’unità provinciale territoriale. Si snoderà lungo questa dorsale il piano per il disboscamento delle partecipate. Che avrà una durata pluriennale. Si partirà dalle cosiddette “scatole vuote” e dalle società in perdita considerate non di pubblica utilità. E per indurre gli enti territoriali ad accelerare il processo sarà fissato un limite minimo anche agendo sulle aggregazioni su base provinciale. L’obiettivo resta quello di scendere da 8mila a mille partecipate in 3 anni. A confermarlo è lo stesso presidente del Consiglio.
«Nella legge di stabilità voglio vedere ancora rotolare qualche poltrona, voglio che ci siano meno aziende municipalizzate», afferma Matteo Renzi. Che aggiunge: «È una cosa allucinante che in una Provincia ci siano 7-8-10-15 municipalizzate». Il premier fa capire che verrà messo un limite per le partecipate e anche per i loro organi. «Mi spiace per i commercialisti che ascoltano - dice Renzi intervenendo in radio - metteremo un limite ai revisori contabili, perché non è possibile avere per ciascuna realtà cinque revisori contabili, manderemo a casa un po’ di strutture». E tra queste anche alcuni enti: «Mi domando a cosa serva avere un’agenzia dei giovani, a cosa serve avere l’ente per il microcredito», afferma il premier. Che ribadisce: «Semplificheremo molto la spesa pubblica». A partire dalla centralizzazione delle spese informatiche con un risparmio «nell’ordine di qualche centinaio di milioni».
Un intervento che fa parte dell’operazione per estendere a vasto raggio il meccanismo di centralizzazione degli acquisti Pa, imperniato sul metodo Consip, che rappresenta uno dei pilastri portanti della “spending review 2.0” da 10 miliardi, che sta mettendo a punto il commissario Yoram Gutgeld. E proprio da acquisti, sanità e ministeri dovrebbero arrivare almeno 5-6 miliardi. La composizione del piano-spending sarà sviluppata nei prossimi 10 giorni. Le riunioni si susseguono già freneticamente.
Anche il destino delle misure per rendere più flessibili le uscite verso la pensione dovrebbe essere più chiaro nei prossimi dieci giorni. Ieri intervenendo a Radio anch’io il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha ribadito che la flessibilità in uscita verso la pensione rispetto all’innalzamento netto dell’età introdotto con la legge Fornero sulla previdenza è un tema «ineludibile» da affrontare «dentro la legge di stabilità». Anche se non è ancora del tutto esclusa l’ipotesi di ricorrere a un disegno di legge ad hoc da varare come collegato alla manovra. Per Poletti, comunque, l’intervento per correggere la legge Fornero non può essere a costo zero. Ma nel Governo ci sono anche altre scuole di pensiero. Dal sottosegretario all’Economia, Enrico Zanetti, arriva un sì alla flessibilità ma anche un secco no a un aumento della spesa pensionistica.
La strada che potrebbe percorrere il Governo è quella di un intervento a impatto contenuto sui conti (alcune centinaia di milioni e comunque meno di un miliardo) imperniato sulla proposta Boeri (penalità di circa il 3% per ogni anno di anticipo da calibrare sulla base della carriera contributiva), magari accompagnata da un prestito previdenziale in versione “mini” per irrobustire gli assegni più bassi.
Lo stesso presidente dell’Inps, Tito Boeri, intervenendo in radio, ha affermato che «un po’ di flessibilità in uscita verso la pensione sarebbe di aiuto per l’occupazione giovanile» aggiungendo che la crescita dell’occupazione tra gli over 55 «è associata anche all’inasprimento delle regole per l’accesso alla pensione». Ma il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd), definisce irrealistici i calcoli dell’Inps sulla flessibilità. E i sindacati ribadiscono il loro no a ulteriori penalizzazioni per i lavoratori.
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