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Questo articolo è stato pubblicato il 08 settembre 2015 alle ore 06:35.

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ROMA

Da una parte il governo, che nella prossima legge di stabilità, dovrà puntare «con decisione» sui due fattori «strategici» per il ripresa del paese, gli investimenti e la ricerca. Dall’altra, i sindacati, nella consapevolezza che «molte leggi che hanno regolato il lavoro e la vita delle imprese sono inadeguate per affrontare un mondo fatto di continui e rapidissimi cambiamenti». Giorgio Squinzi si è rivolto a entrambi parlando ieri mattina all’assemblea degli industriali di Bologna. Il presidente di Confindustria ha rilanciato la necessità di rivedere le regole, convinto che questo sia un «momento propizio per imprimere una nuova rotta alle relazioni industriali». In particolare «c’è l’urgenza di definire nuovi criteri su cui improntare la definizione dei contenuti economici e normativi dei contratti». Un intervento che, ha spiegato Squinzi, «vogliamo fare con l’accordo di tutti». Sarebbe importante, ha aggiunto, «arrivare, in una prima fase, almeno a condividere con il sindacato alcuni principi guida, in modo che l’attuale tornata di rinnovi contrattuali possa, per quanto possibile e secondo la specificità dei vari contratti nazionali, costituire una transizione verso il nuovo modello». E ha continuato: «Mi auguro che nei prossimi giorni riusciremo a trovare una quadratura, la mia speranza è chiudere la questione della rappresentanza e dare un’impostazione per i rinnovi contrattuali che arriveranno di qui a fine anno».

Secondo il presidente di Confindustria, il contratto collettivo nazionale, che resta «l’elemento cardine delle relazioni industriali», deve essere il «motore di questo cambiamento di passo». Le dinamiche retributive, ha continuato, vanno più strettamente collegate ai guadagni di produttività e redditività, «là dove questi si realizzano e misurano, cioè in azienda». Il sistema contrattuale, nei suoi due livelli, «deve perseguire, con sempre maggiore intensità, l’obiettivo della crescita e della competitività». Anche le parti sociali, quindi, devono prendersi la loro responsabilità, non solo ad andare avanti ma anche a «non tornare indietro». Squinzi ha fatto riferimento, senza citarle, alle iniziative della Fiom (si veda articolo a pagina 15): «Sento di tentativi di intimare alle imprese di disfare per via contrattuale alcune delle innovazioni legislative più qualificanti del Jobs act, che portano la legislazione italiana verso la normalità europea, si tratta di tentativi anacronistici, che non fanno i conti con il cambiamento e vanno respinti con fermezza, coesione e determinazione». Sono iniziative che Squinzi si augura «localistiche e minoritarie» e che però sono «una spia di difficoltà che il sindacato non riesce a volte a superare, rinunciando a essere forza sociale di rinnovamento e preferendo essere un freno nel processo di cambiamento».

Da marzo, quando il Jobs act è operativo, a luglio si sono creati 134mila posti, una tendenza, ha detto Squinzi, che se proiettata in un anno vuol dire un punto e mezzo in più. «Il governo ha fatto molto in breve tempo». Vuol dire anche che le imprese, quando sono messe nelle condizioni di agire, fanno la loro parte. Così sarebbe per gli investimenti: le imprese sono accusate di non farli, «ma i dati sbugiardano clamorosamente questo ritornello»: il tasso di investimento delle imprese manifatturiere è del 23%, più alto tra i paesi avanzati. È vero che in termini assoluti sono scesi dal trend storico, ma il motivo è il crollo del fatturato e della domanda interna. «C’è dell’eroismo nell’investire in questo paese, ma con gli atti eroici non si va da nessuna parte». Occorrono politiche adeguate agli investimenti e alla ricerca, perchè senza investimenti «non ci sono sviluppo e occupazione». Squinzi ha parlato a margine sull’annuncio del governo di voler ridurre le tasse sulla casa: «Sono d’accordo con chi pensa che sia meglio ridurre le tasse sulle imprese che quelle sulle case, darebbe più spinta all’economia» e ha definito «positiva e condivisibile» l’idea del governo, lanciata domenica dal ministro del Tesoro, di una riduzione delle tasse per favorire la competitività. La riduzione delle tasse va finanziata con la spending review «di cui per ora non c’è traccia». Per Squinzi la legge di stabilità dovrebbe anche stabilizzare gli incentivi per le nuove assunzioni, mentre non si è espresso sulla flessibilità previdenziale: «Le coperture sono da rivedere, il problema è serio».

Per Squinzi bisogna andare avanti con le riforme «non chiediamo incentivi o aiuti» e cogliere le opportunità internazionali che ci sono per arrivare ad una crescita almeno del 2 per cento. «Per la ripartenza serve molta strada», ha detto. I provvedimenti del governo vanno quasi tutti, ha detto, nella giusta direzione, «sebbene la cultura antimpresa ogni tanto metta manine birichine nell’attività parlamentare e introduca norme che fanno gravi danni, come quella sugli eco-reati».

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