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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2015 alle ore 06:36.

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Roma

Non bastavano le critiche dei docenti per le troppe cattedre fuori regione, le assemblee di protesta dei sindacati convocate in concomitanza con l’inizio dell’anno scolastico, la raccolta di firme in atto per l’abrogazione della riforma Renzi-Giannini. Da ieri l’attuazione della «Buona scuola» deve fare i conti con un ostacolo in più: la decisione del Veneto di ricorrere alla Consulta sulla legge 107 del 2015 perché ritenuta lesiva delle competenze regionali, rispettivamente concorrente ed esclusiva, in materia di istruzione e formazione professionale.

Ad annunciarlo è il governatore Luca Zaia. «La cosiddetta riforma sulla Buona scuola - sottolinea l’esponente leghista - marginalizza, anzi cancella il ruolo della Regione, vanificandone quei compiti programmatori e di gestione che la Costituzione le ha affidato, al fine di una attenta e aderente conoscenza del territorio e delle sue esigenze». Partendo da queste premesse la Giunta regionale ha affidato all’Avvocatura il compito di stilare il ricorso che andrà presentato entro il 15 ottobre. E che metterà in evidenza - come annuncia una nota della Regione - «tre profili di incostituzionalità».

Il primo è quello che «affida al ministero dell’Istruzione il compito di definire l’offerta formativa dei percorsi di istruzione e di formazione professionale, espropriando la regione di un compito che la Costituzione le affida in competenza esclusiva». Nel mirino ci sarebbe la delega che attribuisce al governo il compito di emanare uno o più decreti legislativi per riordinare una materia che secondo l’articolo 117 della Carta costituzionale spetta in via esclusiva alle regioni.

Completano i rilievi del Veneto, da un lato, l’affidamento «agli Uffici scolastici regionali, emanazione diretta del Ministero, e non più alle Regioni il dimensionamento della rete scolastica (cioè stabilire l’ampiezza degli ambiti territoriali in funzione della popolazione scolastica, del numero degli istituti e delle particolari caratteristiche del territorio), creando così una possibile sovrapposizione di competenze programmatorie tra Ministero e Regioni». E, dall’altro, «una fitta rete di interferenze con la competenza esclusiva regionale in materia di istruzione e formazione professionale e potenzialmente attribuiscono allo Stato competenza ad adottare non solo norme di principio ma anche disposizioni di dettaglio in materia di istruzione».

Nel definire il ricorso un «atto dovuto» l’assessore all’Istruzione, Elena Donazzan, spiega che nel mirino in realtà c’è anche la cosiddetta «teoria del gender». Nella parte della legge 107 dedicata al rafforzamento dell’offerta formativa viene infatti affidata alle scuole la possibilità di promuovere nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, la Regione Veneto individua infatti una lesione dei compiti educativi che la Costituzione affida alla famiglia.

Il Veneto è la prima regione a chiedere l’intervento dei giudici costituzionali. Ma potrebbe non essere l’ultima. Il M5S invita le altre regioni che hanno approvato in consiglio una mozione contro la «Buona Scuola» a seguire l’esempio della giunta guidata da Zaia. E cioè la Puglia e la Lombardia. In quest’ultima - precisa l’assessore all’Istruzione, Valentina Aprea - «un approfondimento è ancora in atto e la decisione verrà presa dalla presidenza al termine dell’istruttoria affidata all’ufficio legislativo» del Pirellone. Ma c’è anche chi, come la Liguria, ha appena bocciato una mozione del genere, come ricorda la responsabile Scuola del Pd, Francesca Puglisi.

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