Cosa indica il termine “bail-in”?
Il bail-in è il meccanismo di salvataggio di un Paese, del sistema bancario o di una banca dall’«interno». L'espressione si contrappone al bail-out, cioè il salvataggio dall'«esterno». La grande crisi finanziaria scoppiata nel 2008 ha visto soprattutto l’utilizzo di quest’ultimo strumento. Per evitare il fallimento delle banche travolte dalla crisi dei mutui subprime o dei Paesi come la Grecia, il Portogallo e l’Irlanda alle prese con buchi nelle finanze pubbliche, sono stati decisi interventi di salvataggio pubblico. «Bail-out» dall’esterno e cioè a carico dei contribuenti. Per scongiurare l’utilizzo di soldi pubblici per salvare istituti di credito in crisi l’Unione europea ha redatto la direttiva Brrd (“Bank Recovery & Resolution Directive”) che stabilisce un quadro legale unico e condiviso per la gestione delle crisi bancarie i cui costi, d’ora in avanti, saranno principalmente a carico dei creditori privati.
Cosa prevede la direttiva unica per le risoluzioni bancarie e quado entrerà in vigore?
La normativa è stata ufficialmente recepita lo scorso 10 settembre quando il governo ha emanato un decreto attuativo della direttiva europea e di una serie di disposizioni di modifica del Testo unico bancario.
L'istituto del “salvataggio interno” prevede che gli oneri del salvataggio di una banca in crisi gravino sui creditori interni in misura direttamente proporzionale al grado di rischiosità degli strumenti sottoscritti. Si parte dagli azionisti e dai titolari di altri strumenti assimilabili al capitale (come le azioni risparmio e le obbligazioni convertibili) per proseguire con gli obbligazionisti sempre secondo il grado di rischiosità (pagano prima i titolari di bond subordinati e poi quelli senior). Solo in ultima istanza poi potranno essere chiamati a rispondere anche i titolari di depositi per la parte eccedente la somma coperta dal fondo interbancario di garanzia: 100mila euro. Ufficialmente la data di partenza è il primo di gennaio del 2016.
Cosa si intende per “decreto salva-banche”?
Il cosiddetto “decreto salva banche” è un provvedimento diverso che il governo ha varato domenica 22 novembre per gestire il salvataggio di quattro banche in difficoltà (Banca Marche, CariChieti, Banca Etruria e CariFerrara). Questo è stato fatto per gestire il salvataggio dei quattro disastrati istituti di credito prima dell’entrata in vigore del «bail-in» in modo da evitare il coinvolgimento delle categorie più deboli: gli obbligazionisti senior e i correntisti. Questo è stato possibile grazie a un fondo di risoluzione da 3,6 miliardi di euro a cui, a regime, contribuirà l’intero sistema bancario (anche se nell’immediato la liquidità è stata anticipata da Unicredit Intesa Sanpaolo e Ubi).
È previsto l’impiego di soldi pubblici?
No l’intervento é finanziato in gran parte dalle banche “sane”. Il prestito garantito dal fondo di risoluzione dovrebbe essere rimborsato una volta che la parte buona “good bank” e cattiva “bad bank” dei quattro istituti salvati sarà ceduta sul mercato. Non ci sono soldi pubblici messi in campo ma un rischio per i contribuenti c’è ed è dettato dal fatto che la Cassa depositi e prestiti ha messo la garanzia sulla cessione degli asset (malati e non) degli istituti di credito salvati.
Chi altro è chiamato a contribuire?
L’obiettivo del piano “salva banche” era quello di evitare il coinvolgimento delle categorie più deboli di creditori. Nei fatti però una fetta importante dei clienti (aziende e risparmiatori) si è trovata suo malgrado a “salvare” la banca. Si tratta cioè degli azionisti e dei titolari di obbligazioni di grado inferiore al senior. In primo luogo dei titolari dei 728 milioni di euro di bond subordinati emessi dalle banche salvate. Queste categorie di risparmiatori hanno visto il valore del proprio investimento azzerarsi dal giorno alla notte.
Chi sono i creditori esposti?
La platea dei creditori è vasta e differenziata e comprende ad esempio imprenditori e privati cittadini che hanno chiesto finanziamenti alla banca e che, magari in cambio di condizioni agevolate, hanno sottoscritto pacchetti di obbligazioni. Anche una fetta importante dei dipendenti delle banche salvate è rimasta coinvolta perché, come è consuetudine che accada, avevano investito i propri risparmi in strumenti di questo tipo. In questa platea di investitori c’è anche chi, come l’ex operaio Enel Luigino D’Angelo, ha perso i 110mila euro di liquidazione e per la disperazione si è tolto la vita.
Cosa possono fare i risparmiatori che hanno perso soldi?
È molto difficile che possano recuperare per intero le perdite. Ieri il governo ha annunciato interventi di sostegno per i piccoli risparmiatori colpiti. I titolari dei bond “incriminati” farebbero bene a tenersi aggiornati sull’evoluzione della vicenda per vedere se sarà possibile recuperare qualcosa. Poi certo resta l’opzione (incerta nell’esito oltre che nei tempi e nei costi) di un’azione legale contro amministratori delle banche e distributori dei titoli.
Quali rischi corrono i risparmiatori in futuro?
La situazione delle quattro banche salvate era particolarmente critica. Di certo la vicenda rompe il tabù delle presunta “rischiosità zero” delle obbligazioni bancarie. Con l’entrata in vigore ufficiale della normativa sul «bail-in» poi eventuali future risoluzioni bancarie rischiano di essere ben più dolorose perché la platea dei creditori potenzialmente coinvolti è più vasta (ci sono anche i depositi superiori a 100mila euro). In questa prospettiva è consigliabile prestare la massima attenzione ai prodotti che vengono sottoscritti nella consapevolezza che oggi nulla può essere veramente cosiderato a «rischio zero». E soprattutto seguire la regola aurea di diversificare il più possibile il proprio portafoglio.
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