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Dražen Petrović, il Mozart dei canestri che seppe incantare i maestri dell’Nba

Ci sono storie interminabili, che la vita interrompe senza chiedere permesso. Storie straordinarie (e maledette) di campioni, “più campioni di tutti”, che la morte si è portata via lasciando nella memoria sogni irripetibili. Dražen Petrović, il Mozart dei canestri. Si dice che nella pallacanestro uno come lui, sangue croato, extraterrestre nel suo basket “spiazzante e sopraffino”, non nascerà più. Lui che aveva un talento debordante, irraggiungibile. Una magia che non lasciava né indirizzo né traccia.

Questo ragazzo prodigio degli anni '80, ultima stella sportiva della Jugoslavia unita, la prima della Croazia indipendente, è stato il più completo, il più emozionante giocatore di pallacanestro di tutti i tempi. Un mito (anche) per i maestri americani. Che in quei favolosi anni hanno assistito alla consacrazione Nba di questo artista dell'Est Europa. Loro, gli statunitensi. Che a quei tempi storcevano il naso davanti ai cestisti forestieri, mai all'altezza, sempre figli di un dio minore. Petrovic era il più forte di tutti. Giovanissimo emergente nella sua Sebenico. Fenomeno di culto al Cibona Zagabria. Stella assoluta al Real Madrid: indimenticabili i 42 punti di gara-4 della finale scudetto. Drazen divenne anche il numero uno negli States. Nei Blazers, soprattutto nei New Jersey Nets, dove totalizzò 23 punti di media/partita. Il Nostro accarezzò la gloria anche con la sua nazionale, vincendo il campionato del mondo del 1990.

Poi è arrivato l'atto finale. Il punto di non ritorno. In una giornata d'estate, quella del 1993. Drazen partì per le qualificazioni in Polonia. Sarebbero state una formalità anche con la sua assenza. Al ritorno da quelle qualificazioni, il 7 giugno, l'aereo fece scalo a Francoforte. Lì incontrò la fidanzata. Decise di proseguire il viaggio in macchina, sarebbe tornato a casa con lei e un'amica. Il cambio programma fu fatale. Durante il tragitto si addormentò nel posto del passeggero. Fino a quando, in cima ad un dosso, l'auto si trovò di fronte un camion fermo. L'impatto fu violentissimo, Petrovic non riuscì a salvarsi. E così, a solo 29 anni, in piena ascesa, il sipario è calato sulla vita troppo breve ed intensa di questo fuoriclasse.

Che lo scrittore Stefano Olivari ha ripercorso, con prosa e poesia, nel suo «Gli anni di Drazen Petrovic- Pallacanestro e vita» (edizioni Indiscreto). Un'opera che parte dalle origini del campione, nato e vissuto nella ex Jugoslavia, all'epoca investita dalla Primavera Croata del 1970, il movimento indipendentista fra i cui ideologi c'era anche Franjo Tudman, che della Croazia indipendente diventerà il primo leader. Quello dell'autore è un testo-immersione negli anni in cui Petrovic rivoluzionò, a suo modo, il basket. Diventando anch'egli icona dell'indipendenza del suo Paese. E riuscendo sul rettangolo di gioco a rompere schemi e capisaldi di una pallacanestro ancorata alla tradizione, subordinata allo strapotere Usa. “Il libro- spiega Olivari- è un omaggio a Petrović e alla sua epoca. Quegli anni Ottanta in un'Europa convinta che il proprio benessere e la relativa pace sarebbero durati per sempre. Non è stato così. E nella ex Jugoslavia è andata molto peggio che altrove”.

La fama di Drazen, paragonabile a quella di Larry Bird, non può essere spiegata solo con i risultati, le statistiche, per quanto eccezionali. “C'era qualcosa nel suo gioco, nella sua personalità, che trascendeva la pallacanestro. Qualcosa che faceva entrare tutti, anche lo spettatore occasionale, in un'altra dimensione. Le sue non erano partite, ma sfide continue. Agli avversari, soprattutto a se stesso. Le ‘finte' di Petrovic sul terreno di gioco erano incontrollabili, sempre diverse, come i suoi tiri da qualsiasi distanza, con qualsiasi marcatura. I passaggi di Drazen erano impossibili da pensare, come gli atteggiamenti al limite della provocazione. Che spesso andavano oltre. Riti appartenenti ad una religione universale, di cui Petrovic era il pontefice massimo”. Il campione croato nacque tra due generazioni di fenomeni. Troppo giovane per condividere le grandi vittorie anni '70 di Cosic, Dalipagic, Kicanovic e Delibasic. Di qualche anno troppo vecchio per essere in sintonia con Divac, Kukoc e Radja, con i quali comunque conquisterà tutto il conquistabile. “Ricordare adesso la nazionale campione del mondo 1990 mette i brividi- ricorda l'autore- così come fa impressione che questi fenomeni, dall'autostima e dall'ego sconfinati, fossero soggiogati dalla personalità di Drazen. Qualcuno lo invidiava. Alcuni lo amavano. Altri lo detestavano. Ma tutti riconoscevano la sua superiorità spirituale, prima ancora che tecnica”. Che nessuno potrà dimenticare.

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