Il problema, oggi, sono i bilanci delle aziende: sono troppo fragili, appesantiti dai debiti, oppure lo sono stati fino a ieri e hanno lasciato il desiderio di non chiedere nuovi prestiti. La situazione dell’economia, del resto, non invita a esporsi troppo. Senza credito però non ci sono investimenti, e senza investimenti non c’è crescita, né inflazione.
La Bce sta tentando in molti modi di superare questo blocco. «La ripresa economica - ha ripetuto il comunicato - è rallentata» da diversi fattori tra cui «il necessario riaggiustamento dei bilanci in numerosi settori»: molti paesi di Eurolandia sono da poco usciti o stanno ancora attraversando - non si guardi alla lenta crescita del pil - una recessione da bilanci (balance sheet recession) che impone ancora come priorità il rimborso dei debiti o, almeno, l’astensione da nuovi crediti.
Non è facile aggredire questo problema con la politica monetaria. L’arma tradizionale, la politica fiscale, non è però disponibile, in Eurolandia. Oggi è solo «leggermente espansiva», grazie alla crisi sui migranti che ha richiesto sforzi finanziari aggiuntivi a tutti i governi; e in futuro dovrebbe tornare «neutrale». C’è un vincolo normativo, il fiscal compact, ma alcuni paesi potrebbero trovare difficoltà a finanziarsi a costi bassi ed essere incapaci di spendere in modo efficiente: pesa la ricerca di consenso dei politici, un obiettivo non economico, e la corruzione.
Il quantitative easing ha già avuto la funzione di aiutare le banche: “libera” i loro bilanci da titoli di Stato e altri strumenti finanziari, generando tra l’altro capital gains, e nello stesso tempo li rende meno appetibili per il calo dei rendimenti. La speranza è che le aziende creditizie - a volte però appesantite dalle sofferenze - facciano nuovi prestiti invece di ricomprare titoli. Qualche progresso in questo senso c’è stato - lentissimo e diseguale - e lo stesso presidente della Bce Mario Draghi, che pure rivendica spesso il miglioramento delle condizioni di finanziamento, ha riconosciuto che non è sufficiente.
L’aumento delle dimensioni degli acquisti di titoli, da 60 a 80 miliardi al mese, ha quindi anche la funzione di sostenere questo processo, ma la Bce ha voluto andare oltre. Ha allora deciso di rivitalizzare i Tltro, le aste di liquidità a lungo termine destinate a finanziare i prestiti alle imprese, ormai poco usati: negli ultimi sei mesi del 2015 le banche hanno avanzato poco più di 2.100 richieste per un totale di soli 33,8 miliardi, in netto rallentamento dai 117,6 miliardi della prima metà del 2015.
Il Tltro 2 - è la stessa Bce a chiamare così questo programma - sarà quindi strutturalmente diverso perché le banche saranno premiate, e non più penalizzate, se sceglieranno questo strumento (che finora ha dato l’impressione di funzionare più per la moral suasion dei banchieri centrali che per virtù propria). Il tasso applicato sarà ora uguale a quello di riferimento (prima era 0,1 punti più alto) e le banche più attive potranno persino vedersi riconoscere un “premio”: a loro sarà applicato il tasso sui depositi, che ora è negativo. È un incentivo importante.
I Tltro, come strumento di politica monetaria, hanno però un limite: nei loro confronti la Banca centrale è passiva. Sono le aziende di credito che decidono, anche in base alle condizioni dei loro bilanci e della domanda di prestiti, quanta liquidità chiedere e quindi quanti prestiti concedere. Per recuperare un ruolo più attivo, la Bce ha allora aggiunto i corporate bond delle aziende non bancarie (quindi anche quelli finanziari) tra i titoli che può acquistare. Anche in questo caso l’effetto sarà soprattutto quello di ridurre i rendimenti (generando qualche capital gain) e di liberare i portafogli.
La manovra richiede però grande attenzione: occorre che il calo dei tassi aiuti le aziende a finanziarsi ma non sia tale da disincentivare i compratori di bond. La misura ha l’obiettivo di migliorare le condizioni creditizie e finanziarie, perché i tassi bassi abbiano l’effetto voluto: un aumento degli investimenti, quindi della crescita, dell’occupazione, dei salari, dell’inflazione. Una catena di conseguenze lunga, molto lunga.