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Bolloré, il piano del «grande aggregatore»

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Bolloré, il piano del «grande aggregatore»

  • –Marco Moussanet

PARIGI

Qual è l'obiettivo finale di Vivendi? In attesa (e nella speranza) che Vincent Bolloré e il suo uomo di fiducia Arnaud de Puyfontaine chiariscano la loro strategia e che dal quartier generale del gruppo francese filtri qualcosa di più dei rituali «no comment» ufficiali, non si può fare altro che cercare di mettere insieme la tessere del puzzle fornite fino a oggi, attraverso dichiarazioni, audizioni parlamentari e documenti presentati agli analisti.

L’intenzione sarebbe quella di costituire, nell’Europa del Sud, un gruppo integrato di telecomunicazioni e di produzione di contenuti sufficientemente forte da poter giocare un ruolo di primo piano nel processo – che peraltro si sta già delineando - di consolidamento e concentrazione del settore in Europa. Forse, visto dal fronte Vivendi, in alternativa e in concorrenza al progetto di Orange, l’ex monopolista pubblico France Télécom, il cui presidente Stéphane Richard non nasconde di avere più o meno le stesse intenzioni.

Che Vivendi intenda muoversi, possibilmente in fretta, sul terreno della pay tv (in questa logica rientrano i negoziati con Mediaset per Premium) non c'è dubbio. Come peraltro dicono le cifre: lex gallina dalle uova d'oro Canal+ è in grave difficoltà sul proprio mercato interno (dove ha perso oltre un milione di abbonati in tre anni, è in rosso ed è minacciata dall’arrivo di Netflix) e Vivendi ha quindi bisogno di farsi spazio in altri Paesi. L’espansione in Africa va bene, ma se si trovano rapidamente altri mercati promettenti e più ricchi è meglio. In questo senso l’Italia, dove secondo i dirigenti di Vivendi ci sono enormi spazi di crescita per un’offerta di contenuti di qualità, ha una posizione cruciale. D’altronde il gruppo francese, che ha già investito in Banijay Zodiak, in Mars e ha messo gli occhi su Cattleya, dice esplicitamente di «guardare a opportunità di investimento in numerose società di produzione nel Sud Europa».

Ma i contenuti hanno appunto bisogno di essere distribuiti, veicolati. Quindi c’è bisogno di avere una compagnia di telecom. Vivendi in effetti ce l’aveva (Sfr) ma quando Bolloré è arrivato era già in fase avanzata la cessione ad Altice (che peraltro ha consentito di risolvere il problema del debito e garantire tesoreria). Ecco quindi che Telecom Italia diventa strategica. Da un rafforzamento di quest’ultima – e da un’integrazione appunto con le attività di broadcasting – passa la strada che secondo Vivendi dovrebbe portare alla creazione di quel colosso di tlc e produzione contenuti con cui lanciare l’attacco anche ad altri mercati. Un quadro nel quale potrebbe rientrare la collaborazione che Vivendi sta sviluppando - nella distribuzione dei contenuti e in particolare nel video on demand per smartphone - con il gruppo spagnolo Telefonica, di cui possiede una quota di poco inferiore all'1% e che potrebbe salire.

Vivendi si immagina insomma il grande aggregatore di un nuovo soggetto misto, presente soprattutto sui mercati italiano e francese e con una porta aperta a Telefonica (che ha l’11% di Mediaset Premium).

Anche se non lo dice chiaramente, anche se ci sono ancora molte zone d'ombra, il suo progetto Bolloré sembra averlo ben chiaro. Ma serve una Telecom Italia più leggera (anche in termini di costi), più nettamente orientata (quindi magari senza il Brasile), più veloce e dinamica. E sotto controllo. Con un management di fiducia che sposi in toto il piano. Un'azienda che non abbia «perso lo slancio», come ha detto recentemente de Puyfontaine.

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