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Sugli Npl Bruxelles «pensa» al Piano Juncker

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Sugli Npl Bruxelles «pensa» al Piano Juncker

  • –di Giuseppe Chiellino

Il Piano Juncker potrebbe essere attivato per far fronte alla massa di crediti deteriorati e sofferenze bancarie che affliggono il sistema bancario europeo, in particolare quello italiano. L’ipotesi è contenuta in una nota strategica interna della Commissione europea, predisposta dagli esperti su richiesta del presidente Jean-Claude Juncker e presentata a Bruxelles qualche giorno fa in occasione di una conferenza sull’attrattività dell’Europa per gli investimenti.

Lo studio in cinque paginette fa il punto sui risultati ottenuti dal Fondo europeo per gli investimenti strategici (EFSI), noto appunto come Piano Juncker, a 8 mesi dal suo avvio operativo a luglio dello scorso anno.

L’obiettivo è prepararsi ad ampliare le capacità di intervento del fondo che, con una dotazione reale di 21 miliardi, punta ad attivare 315 miliardi di investimenti in tre anni. In vista del “pit stop” di metà periodo, Bruxelles vuole capire se e come le potenzialità del piano lanciato dal presidente della Commissione all’inizio del suo mandato a fine 2014, possono essere «massimizzate», migliorando se è possibile (ma questo lo studio non lo dice) anche l’effetto moltiplicatore che, dopo i primi otto mesi, è fermo a 7,2 (10,6 miliardi impegnati dal Fondo hanno innescato investimenti per 76,1 miliardi): meno della metà dell’obiettivo, fissato a quota 15.

Lo studio individua cinque settori di sviluppo e tra questi quello dei crediti deteriorati e dei requisiti patrimoniali delle banche. Si legge nel documento: «Un impacchettamento dei non-performing loans detenuti dalle banche, che costituiscono un limite e un vincolo in alcuni sistemi bancari nazionali dell’Unione, con una garanzia Ue/Bei per cartolarizzare e vendere questi crediti, consentirebbe di ripulire i bilanci delle banche e dunque di favorire una maggiore erogazione di credito».

È una ipotesi, insieme ad altre, ma rientra nella filosofia del Piano Juncker che è proprio quella di attivare gli investimenti affrontando anche le principali debolezze dell’Unione. Troppo presto per sapere che fine farà, se andrà avanti o se sarà lasciata cadere per l’opposizione che prevedibilmente troverà nei Paesi in cui il peso delle sofferenze bancarie e dei crediti incagliati non è rilevante, come invece avviene in Italia. Ma è stata posta sul tavolo principale.

Gli altri quattro ambiti in cui si potrebbe allargare il Fondo per gli investimenti strategici riguardano:
il venture capital per il quale si potrebbe aprire nell’Efsi una «finestra dedicata» in modo da fornire risorse finanziarie comuni per questo tipo di investimenti;
la “social innovation” con l’obiettivo di attivare strumenti con largo impatto sociale;
gli investimenti in capitale umano, a sostegno delle iniziative nazionali e comunitarie che già esistono;
gli investimenti nei Paesi terzi, con l’obiettivo di sviluppare e stabilizzare i paesi vicini, nodo cruciale nell’attuale crisi migratoria.

Il problema è dove trovare le risorse aggiuntive per i nuovi impegni che il Fondo strategico potrebbe assumersi. Inevitabilmente l’argomento dovrà essere affrontato nella revisione del bilancio pluriennale della Ue, la cui discussione è sostanzialmente già iniziata.