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Zonin e quel falò da 6 miliardi in soli 12 mesi

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il dissesto

Zonin e quel falò da 6 miliardi in soli 12 mesi

Passerà alla Storia come uno dei più grandi falò finanziari italiani. Non solo per la cifra in gioco, oltre 6 miliardi di euro andati letteralmente in fumo, ma per la rapidità, l’intensità e lo spazio circoscritto in cui è divampato. Solo poco più di 12 mesi fa i 120mila soci della Popolare di Vicenza si illudevano di possedere azioni della loro banca che valevano 6,2 miliardi. Ora quei denari si sono volatilizzati. Spariti tutti in un lampo come in un gioco di prestigio.

Era aprile del 2015 quando per la prima volta nella sua storia decennale il Cda della banca dominata per molti lustri da Gianni Zonin, abbatte il valore dell’azione: non più 62,5 euro (un valore che non aveva mai smesso di crescere pur nella più grave crisi bancaria italiana) ma solo 48 euro. Un colpo duro per chi aveva solo tra il 2013 e il 2014 sottoscritto 1,5 miliardi di aumenti di capitale a quel prezzo stellare di 62,5 euro che valutava di fatto la banca più del doppio di qualsiasi istituto di credito quotato. Ma quel primo taglio secco era solo un campanello d’allarme della slavina che sarebbe arrivata nei mesi successivi. Mentre Zonin in quei giorni, nonostante il taglio del valore, magnificava «un 2015 di sicura soddisfazione», Bce, Banca d’Italia e Procura stavano rivoltando come un calzino la banca, mettendo in luce le pesantissime criticità nascoste per anni sotto il tappeto.

La storia è nota: Zonin e altri tra consiglieri e manager indagati dai magistrati e conti che messi sotto la lente della Vigilanza mostrano la loro vera natura: montagne di crediti in sofferenza mai svalutati; prestiti baciati come se piovesse (ti dò il mutuo ma mi compri le mie azioni; ti dò un finanziamento a tasso scontato ma mi sottoscrivi l’aumento di capitale). Il risultato della pulizia nel regno ultra-decennale di Zonin è drammatico. Gli ispettori di Bce e Bankitalia impongono rettifiche sui crediti malati che superano i 2,2 miliardi di euro negli ultimi due bilanci. La Popolare i cui vertici autodeterminavano da tempo immemore il valore della banca (sempre crescente nel tempo) si scopre malata in profondità. Le sole perdite nette, passano da 32 milioni del 2013 a 758 milioni nel 2014 e raddoppiano a fine 2015 a 1,4 miliardi.

La banca vede sparire d’incanto tutti i sacrifici dei soci chiamati (e sempre rassicurati dal duo di comando Zonin-Sorato) a sottoscrivere gli aumenti di capitale del 2013-2014. Soci che passano da 56mila a 120mila dal 2008 al 2014 e che finiscono per comprare le azioni della banca a quei prezzi drogati oltre i 60 euro che non rivedranno mai più. Ma il gioco di prestigio è un gioco nefasto di simbiosi nociva tra la banca e il suo territorio. Vicenza è tra le banche che aumenta gli impieghi negli anni in cui le altre banche stringono i cordoni. C’è un perché. Più presti ai soci, grazie alla pratica dello scambio credito-azioni, più ti capitalizzi. E soprattutto Zonin lo faceva vendendo le azioni della sua banca a prezzi spropositati. Solo un anno fa a 62,5 euro la banca si valorizzava almeno 1,7 volte il suo patrimono, quando neanche Intesa la più solida banca italiana riusciva a farsi prezzare almeno una volta il suo capitale. Un grande abbaglio, ora una grande drammatica beffa con quei 6 miliardi svaniti nel nulla.