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La libertà viaggia in punta di piedi

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danza

La libertà viaggia in punta di piedi

Chi ha avuto la fortuna di assistere, negli anni Ottanta, alle danze di Twyla Tharp ne rammenta ancora l’eleganza e il profumo. Accanto a The Catherine Wheel, indimenticabile epopea postmoderna, su musiche di David Byrne, le non meno sue Nine Sinatra Songs pattinavano entro immaginarie sale da ballo con una noncuranza perfetta e un continuo getto di passi inattesi. Ora elettrizza scoprire il ritorno (24 giugno) di otto ballerini della celebre dancemaker americana tra i gruppi coreutici del Ravenna Festival, in cammino grato a Nelson Mandela.

Qui, l’ormai settantacinquenne Tharp, da tempo giunta pure in vetta a Hollywood per le coreografie nei film di Milos Forman (come Amadeus), e a Broadway per la fertile collaborazione con il divo Mikhail Baryshnikov, li lancia al recupero del passato remoto. Country Dances (1976) e pure Brahms/ Paganini (1980), superbo e virtuosistico balletto neoclassico, aleggiano però attorno alla sua ultima coreografia: Beethoven Opus 130, giungerà direttamente da Sarasota, in Florida, ed sarà un omaggio al ballerino Matthew Dibble.

Presentando Decadance (6 luglio),- anche la Batsheva Dance Company punta a raccogliere soprattutto ricordi in un ricamo di estratti del suo incrollabile direttore, Ohad Naharin. Da Sadeh 21 (2011) a Zachacha (1998), da Bolero (1983) a Mabul (1992), da Three (2005) a Naharin’s Virus (2001), e indietro tutto sino a Zina (1995), l’arcobaleno dinamico di Ohad lascerà trapelare la potenza, la fluidità e il brillio di un linguaggio non tecnico ma letteralmente “cavato” fuori dai ballerini (il “Gaga”), e l’originalità di opere sottotraccia quasi sempre poetiche, nel registro di leggerezza e drammaticità.

Alonzo King, al pari di Twyla Tharp, è americano, ma anche “afro”. È stato ballerino in compagnie, come l’American Ballet Theatre, molto frequentate dalla Tharp, e presumibilmente ne ha danzato la genialità. Però, dal 1982 dirige, a San Francisco, la Lines Ballet Company e anche a Ravenna (9 luglio) rilancerà una danza di linee nitide ma sposate a emozioni sanguigne. In Writing Ground (2010) sono le musiche della tradizione ebraica, cristiana, musulmana e del buddismo tibetano ad arroventare le ispiratrici liriche di Colum McCann. Nel più recente Shostakovich (2014) è la musica del compositore russo a incitare una coreografia di corpi tesi a mo’ di frecce di luce.

Una metafora luminosa potrebbe funzionare anche per lo spettacolo pittorescamente intitolato Amore, e per Svetlana Zakharova, la stella russa e prima donna mondiale del balletto, che ne sarà l’epicentro (30 giugno). Con Mikhail Lobukhin e Denis Rodkin, due primi danzatori del Bol’šoj e altre étoile, la di solito lirica e candida Svetlana si renderà drammatica in Francesca da Rimini, cameo cajkovskiano del coreografo Juri Possokhov, e aggiungerà ai suoi cristallini passi in punta, tocchi di modernità glamour in The Rain Before it Falls, una miniatura per star di Patrick De Bana. Con Strokes Trough The Tails di Marguerite Donlon si finirà in un tripudio di dissacranti cigni lanciati sulla musica di Mozart.

L’offerta giapponese dei Sankai Juku di Ushio Amagatsu (14 giugno) esclude nivei palmipedi e punta su corpi infarinati, solo maschili e dal cranio rasato. Sono gli interpreti di Utsushi: più che una novità, una retrospettiva, su musiche di Yas-kas e Yoichiro Yoshikawa, in cui si strizzeranno le pièce comprese tra Kinkan Shonen (1978) e Toki (2005) per creare un ennesimo rituale dal movimento sinuoso e furente. Attenzione, però: le tempeste drammatiche dei Sankai Juku non hanno più nulla a che fare con quelle del Butoh originale. Guardando anche alla tradizione in ricchi costumi del Kabuki, il regista Amagatsu ha placato ogni abissale e feroce tuffo nell’inconscio, donando al “suo” Butoh il fascino incantatorio dell’estasi.

In Chanteuse des Rues (28 giugno) l’estasi ricercata dal coreografo belga Micha van Hoecke, da tempo attivo nel nostro Paese, e molto amato a Ravenna, sarà invece quella della voce del «passerotto della canzone». Parigi, affollata di personaggi colorati e lunari, ha al centro Jean Cocteau quando andava ad ascoltare Edith Piaf nel locale in cui si esibiva, per poi dedicarle la piéce La Belle Indifférent. Tra musica per fisarmonica (di Simone Zanchini), canzone e danza, Van Hoecke tesse ricordi anche personali: negli ultimi anni di vita della Piaf viveva a Parigi e ne respirava umori e atmosfere. Con l’aiuto di un folto gruppo di danzattori ravennati metterà in scena il ritratto virtuale della Piaf senza mai incarnarla.

Chanteuse des Rues è una prima assoluta, proprio come Xebeche del Gruppo Nanou. Grazie alla coreografia per otto danzatori, di Marco Valerio Adamo e Rhuena Bracci, si sperimenterà (8,9,10 giugno) il conflitto tra corpo, come forma antropomorfica e perimetro geometrico che lo circoscrive. Ne nascerà un infinito piano sequenza, ispirato ai film di Jim Jarmush, in cui le trasformazioni di contenitore e contenuto s’intrecceranno per diventare viluppo e scomparire.

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