Il primo unicorno africano si chiama Africa Internet Group (Aig): una società nigeriana di e-commerce che ha toccato, a marzo, il tetto di un miliardo di euro di capitale dopo un finanziamento di 225 milioni di euro da investitori del calibro di Goldman Sachs, del gruppo sudafricano di telecomunicazioni Mtn e della holding berlinese Rocket Internet. L’asticella del miliardo è un traguardo di peso, ma Aig non è né un esempio isolato né per l’e-commerce né per l’ecosistema innovativo che inizia ad animarsi sul Continente. In origine si parlava sopratutto della “Silicon Savannah”, l’hub di innovazione tecnologica maturato in Kenya tra 2007 e 2010 sull’onda di pagamenti mobile e primi acceleratori di imprese innovative. Oggi il fenomeno ha iniziato a prendere piede anche al di fuori nella sua prima culla. Un report del portale Disrupt Africa ha stimato a un totale di 185,8 milioni di dollari Usa in finanziamenti raccolti da 125 startup del tech nel 2015. E i dati dell’ultimo Venture Finance in Africa, indagine a cura di VC4Africa, hanno evidenziato un incremento sia nella cifra totale messa sul piatto che nel taglio medio degli investimenti: l’importo medio è lievitato da circa 200mila a 326mila dollari). Le mete di destinazione non riservano troppe sorprese, visto che la stessa Disrupt Africa indica i tre poli dominanti in Sud Africa (circa 54,6 milioni di dollari), Nigeria (49,4 milioni) e Kenya (47,36 milioni). Già più difficile scattare una foto sui settori, almeno a livello complessivo. Disrupt Africa rileva il boom di energia solare (32% del valore complessivo degli investimenti) e fintech (29%). Il panorama sullo sfondo è più affollato, dai motori di ricerca per lo shopping alle piattaforme peer-to-peer per agricoltori, dai sistemi di prenotazione online di visite mediche agli “Uber” africani che cercano di inserirsi nel mercato dei trasporti nelle metropoli. Qualche esempio? La compagnia kenyana di energia solare “pay as you go” M-Kopa ha raccolto 41,5 milioni di dollari in cinque round e fornisce a oltre 300mila abitazioni tra Kenya, Tanzania e Uganda il suo equipaggiamento di illuminazioni, caricabatterie e radio a energia solare. La egiziana Yaoota ha raccolto 2,7 milioni di dollari Usa dal fondo di Abu-Dhabi Kbbo Group per espandere la sua piattaforma, un servizio per comparazione di prezzi e prodotti online. La ruandese SafeMotos (leggi l’articolo a fianco), salutata da alcuni come la “Uber africana”, offre un servizio di prenotazione dei servizi di trasporto in moto nella capitale Kigali.
Gli exploit lasciano intendere che il fenomeno potrebbe essere solo al suo inizio, con numeri e impatti in crescita. Il portale Usa CrunchBase ha proiettato gli investimenti in VentureCapital a una quota di 608 milioni di dollari entro il 2018, per un valore generale di un miliardo di dollari nel quadriennio precedente.
Ma le previsioni più positive non escludono i difetti di fondo. I paesi che dovrebbero beneficiare del boom innovativo, come la Nigeria, soffrono delle stesse limitazioni sparse nel resto del Continente: carenze nelle infrastrutture, problemi di connettività, instabilità politica. Il cambiamento potrebbe arrivare anche da un nuovo tessuto di imprenditorialità innovativa, a patto che continui l’afflusso di capitali. Insomma, se «il grande interesse» per l’Africa del tech si trasforma in «grandi investimenti» sulle sue startup.
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