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Dossier Negli smartphone non c'è posto per le piccole startup

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    Dossier | N. 221 articoliPiù start-up con il Sole

    Negli smartphone non c'è posto per le piccole startup

    Ci sono tre tendenze che stanno caratterizzando lo scenario dei telefonini intelligenti. La prima, inequivocabile, ci dice che questo mercato è in frenata e non cresce più ai ritmi poderosi di qualche anno fa. La seconda, altrettanto evidente, conferma l’ascesa inarrestabile dei marchi cinesi, e non solo quelli di primissima fascia come Huawei. La terza, sicuramente meno nota, mostra come l’ecosistema degli smartphone non sia particolarmente florido per le nuove imprese innovative. «Le startup entrate in questo settore – spiega Carolina Milanesi, Principal Analyst presso Creative Strategies – hanno registrato diversi livelli di successo, alcune si sono affacciate al mercato promettendo molto e poi non hanno mantenuto le promesse». La cinese OnePlus e la californiana Robin sono forse i migliori esempi di dispositivi arrivati sul mercato per soddisfare una precisa esigenza degli utenti, in termini di esperienza d’uso e di rapporto costi/prestazioni. Jolla, (la startup fondata nel 2011 da alcuni ex manager di Nokia, ndr), invece, non ha certo avuto il successo previsto proprio perché il prodotto non era quello che i consumatori stavano cercando, in termini di esperienza d’uso e di rapporto costi/prestazioni. «A mio giudizio, il problema di fondo di queste aziende è probabilmente quello di trovare un fattore di differenziazione che faccia davvero la differenza. L’avvento di Android ha di sicuro aiutato molte nuove aziende ad entrare in questo mercato ma non li aiuta necessariamente a rimanerci. La barriera d’ingresso si è abbassata considerevolmente ma fare utili è sempre più difficile specialmente per le aziende che non hanno un forte marchio», osserva ancora l’analista.

    Ai nomi di startup citati dall’analista se ne possono comunque aggiungere molti altri. Si va dalle cinesi Nubia Technology (spin off del colosso Zte e in cui vi ha investito a inizio anno circa 300 milioni di dollari, per il 33% delle quote societarie, il colosso Suning), Oppo e Vivo (queste ultime in quarta e quinta posizione del ranking mondiale stilato da Idc alla fine del primo trimestre) all’israeliana Sirin Labs fino alle italiane Stonex (brianzola) e ALLINmobile (Abruzzo), che in Cina assemblano i rispettivi prodotti. Citazione a parte merita Commodore Business Machine Ltd, società fondata nel 2015 a Londra, gestita interamente da imprenditori italiani e ora in procinto di lanciare il suo secondo smartphone con il logo dello storico marchio dei personal computer anni '80.

    Ma quanto sono attrattive queste realtà per i venture capital e i grandi investitori? La risposta, molto esplicita, ce la fornisce ancora Milanesi: «nella Bay Area sento più parlare di startup che si muovono nel campo dei servizi e delle applicazioni per device mobili che non in apparecchi hardware. E se si tratta di hardware al centro dei nuovi progetti non ci sono gli smartphone bensì i dispositivi indossabili e quelli che trovano posto nelle smart home». Arduo quindi ipotizzare deal milionari come quelli che animano l’universo del fintech o di altre industry verticali (l’e-health, per esempio) con potenzialità di crescita enormi. La difficoltà di fare massa critica per le nuove imprese nel campo dei cellulari, con le sole eccezioni di alcuni brand cinesi, si specchia oltre tutto in un mercato che denota, da tempo, segni evidenti di rallentamento.

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