Premessa: la guida autonoma al 100%, quella che permetterà di leggere un giornale (su tablet, ovvio), scrivere mail o riposare mentre l'auto si reca da sola fino alla destinazione, non sarà realtà prima di 15 anni, almeno. C'è anche chi professa più ottimismo, ma è più ragionevole andarci cauti. Primo perché la tecnologia richiede ancora parecchia sperimentazione. Secondo perché l'infrastruttura deve evolversi parecchio; in altre parole strade, incroci e semafori devono poter “dialogare” con i veicoli. Soprattutto, va risolta la questione legale: di chi è la colpa in caso di sinistro, se l'essere umano è sollevato dalle proprie responsabilità? Un contributo molto importante in questo senso è stato dato di recente, negli Stati Uniti, dall'Nhts (National highway traffic safety administration): la massima autorità negli Usa in tema di sicurezza stradale, ha decretato che il sistema di intelligenza artificiale che guida la Google Car potrà essere equiparato ad un guidatore in carne ed ossa. La notizia è clamorosa ed è la più importante, da quando si parla di automobili che guidano da sole. Resta però un problema: chi paga se qualcosa va storto, se c'è un impatto e se ci sono feriti? Google e tutte le aziende che stanno mettendo a punto sistemi di guida autonoma sostengono che il margine di errore di questa tecnologia, una volta deliberata, sarà pari a zero. Non si può però pensare alla sparizione dell'obbligo R.C auto. Nè si può escludere il classico bug, il guasto tecnico. Probabilmente è proprio questo il motivo per cui l'Nhts non ha fatto alcun riferimento alla questione legale, che lascia volentieri al Congresso (il nostro Parlamento).
Specificato questo, all'autonomous driving “parziale” ci stiamo avvicinando a grandi passi. Anzi, si può dire che ci siamo già: la responsabilità è ancora in capo al guidatore, ma ormai sono sempre più diffusi i sistemi che supportano le sue decisioni. Fino a non molto tempo fa, i sistemi anticollisione erano riservati alle auto di gamma medio-alta, oppure alle citycar. Una “stranezza” che ha una spiegazione molto semplice: le prime, ne erano dotate per ovvi motivi di posizionamento e prezzo, le seconde in quanto tali, cioè perché utilizzate soprattutto in città. Al salone di Ginevra edizione 2016 si è invece assistito al dilagare di questi sistemi su vetture di ogni segmento, con evoluzioni importanti, peraltro. Gli esempi sono numerosi: la nuova Renault Scenic offre di serie su tutta la gamma il sistema antitamponamento con riconoscimento del pedone. L'Audi Q2, la crossover più piccola di Ingolstadt (ne parliamo a pagina 11), va oltre, gestendo in automatico, nel traffico, lo sterzo, l'acceleratore e i freni. In pratica, non solo si ferma e riparte da sola, “agganciandosi” all'auto che la precede, ma se la strada curva, si adegua in automatico.
Più avanti ancora, in segmenti di mercato più alti, sono Mercedes e Volvo. La prima, con la Classe E, porta al debutto mondiale (Tesla, con la Model S, è arrivata prima, ma poi ha disabilitato la funzione) il sorpasso automatico: si attiva l'indicatore di direzione e, se il cervellone elettronico verifica che ci sono le condizioni, agisce su sterzo e acceleratore per completare la manovra. E Volvo? Con le nuove S90 e V90 evolve i già avanzatissimi sistemi in dotazione alla suv Xc90. Su tutta la gamma è infatti compresa nel prezzo un'esclusiva mondiale: il Run-off Road Mitigation. Di cosa si tratta? Di un sistema in grado di percepire il pericolo di uscita di strada laterale: se necessario, questo dispositivo agisce sullo sterzo e sui freni - in totale autonomia - al fine di scongiurare la caduta in un fosso; se l'incidente è inevitabile, ne riduce comunque le conseguenze. Questo genere di uscita di strada rappresenta il 50% dei sinistri negli Usa e il 33% in Svezia e, spesso, ha ripercussioni pesantissime sugli occupanti: si spiega così l'attenzione maniacale di Volvo, testimoniata anche dal sedile “salva-spina dorsale” presentato sulla Xc90 e utilizzato anche qui, capace di assorbire l'energia verticale nel caso in cui l'auto finisca appunto in un fosso, salvaguardando le vertebre e il midollo spinale. C'è poi il caso di Audi, il cui sistema di guida autonoma al 100% è (ovviamente) ancora in sperimentazione, ma che già nel breve termine promette sviluppi importanti: grazie alla piattaforma Drive Px 2 di Nvidia, la e-tron quattro concept - al debutto nel 2018 - è dotata delle funzioni di assistenza alla guida in colonna e di parcheggio assistito. Detto questo, l'architettura per le future implementazioni è già stata delineata e il suo componente chiave sarà l'unità centrale, conosciuta come zFas. Le informazioni fornite da i sensori, telecamere 3D, scanner laser e sensori radar e ultrasonici – sono inviati a questo modulo e qui processati.
In tema di guida autonoma al 100%, è interessante notare come sui giornali, sui siti e “nei bar” di tutto il mondo questa tecnologia sia abbinata in automatico ai progetti di automobile di Google ed Apple, o di Tesla. In realtà, Toyota è prima nella speciale classifica dei brevetti ad essa legata e in Giappone, per esempio, sta sperimentando, in un'area circoscritta, Its: un complesso di strade e veicoli interconnessi che si scambiano una gran mole di dati al fine di scongiurare le collisioni. Al secondo posto c'è Bosch, poi Denso, Hyundai e Gm. La prima azienda per numero di brevetti, tra i giganti dell'elettronica, è Alphabet di Google, al 26° posto. Senza contare che, per numero di veicoli sperimentali in circolazione nel mondo, le Case auto tradizionali sono nettamente davanti. Infine, una questione filosofica: chi ha sempre costruito automobili considera la guida autonoma come una sorta di pilota automatico che deve farsi da parte quando il guidatore vuole divertirsi, per esempio su una strada ricca di curve. Google ha già annunciato che dal suo punto di vista sterzo e pedali andranno eliminati, perché l'uomo può solo far danni, se si “intromette” nelle decisioni dell'algoritmo.
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