Il settore dei voli spaziali non è più appannaggio solo dello Stato e della grande industria. Negli ultimi anni abbiamo assistito a due fenomeni: la NASA, l'ente spaziale statunitense, ha affidato ad aziende private la progettazione e la gestione di una parte consistente dei suoi programmi, aprendo in pratica a una privatizzazione dell'attività spaziale; nel contempo la tecnologia dei nanosatelliti ha “democratizzato” l'accesso all'orbita terrestre, aprendolo anche alle piccole startup.
Nel 2015 l'industria spaziale ha raccolto 1,8 miliardi di dollari di venture capital, quasi il doppio che nell'intero quindicennio precedente. Alla cifra ha contribuito soprattutto SpaceX, la startup creata nel 2002 dall'imprenditore miliardario Elon Musk, i cui veicoli automatici Dragon riforniscono la Stazione Spaziale Internazionale: nel gennaio 2015 ha raccolto un finanziamento di un miliardo di dollari (principale investitore: Google).
Un altro mezzo miliardo di dollari è stato raccolto da OneWeb, società che intende portare Internet in ogni angolo del pianeta attraverso una rete di 900 satelliti prodotti dal consorzio europeo Airbus. È un esempio della nuova filosofia spaziale: invece che satelliti grandi, costosi e di lunga durata si preferisce mettere in orbita costellazioni di “nanosatelliti”, semplici, standardizzati e dal costo ridotto, in cui la molteplicità compensa la minore affidabilità e durata.
I nanosatelliti nascono nel 1999 con lo standard “cubesat”: hanno un costo ridotto e piccole dimensioni che permettono d i sfruttare “passaggi” in occasione del lancio di satelliti più grandi per collocarli in orbita. Pensati per la ricerca universitaria, vengono sfruttati da startup come Accion Systems e Orbital Insights per attività commerciali come il telerilevamento o il controllo remoto di macchinari. Si prevede che entro il 2020 ne verranno lanciati oltre 2000, di cui il 56% sarà per uso commerciale.
E l'Italia? Il nostro è un Paese che ha alle spalle grandi successi, spesso però privi di continuità. Basti pensare che la piattaforma di lancio italiana Uhuru, al largo del Kenya, è oggi un rottame abbandonato. Ma anche da noi varie startup spaziali sono cresciute fino a consolidarsi. È il caso di Dinamica, società milanese di ingegneria nata nel 2008, che sviluppa soluzioni innovative in campo spaziale in collaborazione con l'ESA e i privati. O di AreSys, società milanese nata nel 2003, che sviluppa tecnologie di telerilevamento, inizialmente satellitari ma attualmente anche per l'industria petrolifera. O TRE (Tele-Rilevamento Europa), fondata nel 2000 come prima società spin-off del Politecnico, che fornisce servizi di telerilevamento. Paradossalmente il successo di TRE ha portato all'inizio dell'anno alla sua acquisizione da parte del CNES, l'agenzia spaziale francese, in un'operazione in cui si fonderà con la spagnola Altamira.
Ora l'avvento dei nanosatelliti ha portato un nuovo fervore imprenditoriale. Nel febbraio 2015 è nata Tyvak, startup incubata da I3P, incubatore del Politecnico di Torino, e consociata con Tyvak International, che ha già stretto i primi contratti per la progettazione, produzione e gestione di nanosatelliti. Altra startup del settore è GAUSS, creata da ricercatori della Scuola di Ingegneria Aerospaziale di Roma, che ha al suo attivo sei lanci satellitari e svolge un'attività di provider per il lancio di nanosatelliti. Altri nomi di spicco sono Leafspace e D-Orbit, approfondite altrove in questa pagina.
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