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Riforma Pa, il governo accelera ma è alta tensione sulla dirigenza

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Riforma Pa, il governo accelera ma è alta tensione sulla dirigenza

Dopo un serrato confronto all’interno del Governo e dell’alta burocrazia ministeriale, prende una forma definita il nuovo pacchetto di decreti attuativi della riforma della Pubblica amministrazione atteso oggi pomeriggio alle 17 in consiglio dei ministri: un pacchetto che, a partire dal decreto sulla dirigenza e dall’adozione finale del taglia-partecipate, entra nel vivo dei temi più delicati per le strutture e per i dipendenti dell’amministrazione pubblica. Proprio il testo sui dirigenti, che introduce la regola degli incarichi a tempo e il rischio di tagli di stipendio fino al licenziamento per chi rimane senza posto, rappresenta uno dei passaggi più critici dell’intera riforma e su cui il confronto è ancora aperto in queste ore tanto che oggi ci potrebbe essere soltanto un primo via libera “salvo intese” per rivedersi il 25 agosto.

Nelle settimane scorse si era addirittura fatta largo la tentazione di accantonare il tema, viste le resistenze probabili (e ufficiosamente già annunciate) da parte di molte strutture, al punto che era intervenuto lo stesso premier Matteo Renzi per spiegare che la linea del governo è quella di non far scadere senza attuazione nessun capitolo della delega. Di qui l’accelerata del decreto verso l’ultimo consiglio dei ministri utile prima della pausa estiva che, a quanto si apprende, potrebbe riservare qualche sgradita sorpresa per i direttori generali: nel testo che sarà esaminato oggi, infatti, dovrebbe essere saltata all’ultimo la clausola di salvaguardia che li escludeva dal meccanismo del ruolo unico.

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Anche loro dovrebbero quindi rientrare nel sistema generale disegnato dalla riforma, in base alla quale le amministrazioni sceglieranno i propri dirigenti all’interno dei ruoli (dedicati rispettivamente a Stato, regioni ed enti locali, a cui si dovrebbe affiancare un quarto elenco per le autorità indipendenti) per affidare gli incarichi quadriennali, rinnovabili una sola volta ed esclusivamente nei casi in cui l’incaricato abbia ottenuto una valutazione positiva della performance individuale. I nuovi dirigenti accederanno invece ai ruoli tramite un concorso o un corso-concorso, a seconda del curriculum, banditi ogni anno per sostituire i pensionati dell’anno prima (ma la Funzione pubblica potrà allargare un po’, fino al 20%, i posti messi a bando).

I vincitori (non ci saranno idonei) dovranno poi affrontare una prova sul campo di tre anni, riducibili a uno per chi ha un curriculum particolarmente brillante. Tutto il meccanismo si baserà come accennato sul sistema degli incarichi quadriennali, e chi resterà senza incarico dovrà accontentarsi dello stipendio base, che vale tra il 30 e il 50% della busta paga complessiva, fatta anche di retribuzione di posizione e di risultato e dovrà partecipare a un numero minimo di bandi per non rischiare il licenziamento. Per provare a centrare l’obiettivo dichiarato dal governo di una vera “meritocrazia” ai vertici della Pa, il nuovo sistema dovrà essere arricchito da meccanismi di valutazione solidi e in grado di resistere al contenzioso, perché la riforma promette di diversificare i premi di risultato tagliandoli drasticamente, anche dell’80%, per i dirigenti che «colpevolmente» non vigilano sugli standard qualitativi e quantitativi necessari all’attività dei propri uffici.

Per la riforma delle partecipate, invece, quello di oggi è l’ultimo passaggio per un testo già finito due volte in Cdm e Parlamento. Il decreto, che dà sei mesi di tempo per scrivere i piani di razionalizzazione e poi un anno per attuarli, punta a cancellare almeno 5mila società, vietando le partecipazioni in aziende che operano in settori di mercato e in quelle che non raggiungono requisiti minimi di organico, fatturato e risultati di bilancio. Proprio su questi parametri si sono accese le discussioni più animate, ma salvo sorprese il Governo dovrebbe tirare dritto sulla richiesta di un fatturato minimo di almeno un milione, magari con qualche esclusione settoriale in più oltre a quelle già previste per fiere e funivie (si discute ad esempio del fotovoltaico e dei servizi alla persona).

Anche sul versante delle società, i temi più delicati sono quelli del personale, e in particolare degli esuberi che saranno prodotti dalla chiusura delle società fuori regola (le alternative sono la privatizzazione o le aggregazioni) e dalla revisione degli organici nelle aziende che sopravviveranno: le società pubbliche, infatti, saranno chiamate a monitorare le proprie strutture indicando la presenza di esuberi, che dovranno essere gestiti in prima battuta dalle regioni, con una sorta di ruolo di regia nella mobilità territoriale, e poi dall’Agenzia nazionale per il lavoro.

Un robusto alleggerimento dovrebbe poi riguardare presidenti e consiglieri: la riforma introduce infatti la regola dell’amministratore unico, confinando la presenza dei cda ai casi in cui saranno indispensabili per ragioni di adeguatezza organizzativa, in base a parametri che palazzo Chigi dovrà individuare con decreto. Entro 30 giorni dall’entrata in vigore, poi, dovrebbero finalmente essere attuate le cinque fasce che limitano i compensi di amministratori e dirigenti sulla base delle dimensioni dell’azienda. A queste indicazioni dovrebbero tendenzialmente adeguarsi anche le società miste, a cui gli enti pubblici dovranno fornire atti di indirizzo che chiedano regole su compensi e amministratori analoghe a quelle fissate per le aziende pubbliche.

Il terzo provvedimento che interessa da vicino gli organici della Pubblica amministrazione è quello sulle Camere di commercio, il cui primo approdo in consiglio dei ministri è stato preceduto da un dibattito vivace con tanto di assemblee pubbliche. L’orizzonte, già definito nella delega, è quello di ridurre del 40% le Camere di commercio, passando a 60 enti: Unioncamere sarà chiamata a definire entro sei mesi un piano di razionalizzazione del personale, in cui però non dovrebbero trovar spazio le percentuali minime di riduzione (15% degli organici, 25% degli uffici di staff) scritti nelle prime bozze. Anche in questo caso, gli obblighi di alleggerimento si estendono agli organismi di amministrazione, con una revisione delle tre fasce dimensionali (saranno solo due sopra o sotto le 80mila imprese)e del numero di consiglieri previsti in ogni fascia: passeranno da 3.000 a 1.600, mentre i componenti di giunta scenderanno complessivamente da 1.000 a 300.

Completano il quadro il codice dell’amministrazione digitale, gli enti di ricerca (si veda Il Sole 24 di domenica scorsa) e il comitato paralimpico. Tra le novità in arrivo con il Cad l’ampliamento dei diritti di cittadinanza digitale e il diritto per ogni cittadino del domicilio elettronico accessibile con un pin unico collegato all’Anagrafe nazionale della popolazione residente. Scompare, inoltre, il termine del 12 agosto 2016 entro cui le amministrazioni avrebbero dovuto adottare le regole tecniche per i documenti elettronici. La norma rinvia a un futuro Dm della Funzione pubblica.

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