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Telemarketing illecito se i numeri sono reperiti attraverso vecchi elenchi…

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Telemarketing illecito se i numeri sono reperiti attraverso vecchi elenchi telefonici

Corbis
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Confermata la maxi sanzione amministrativa a carico di Fastweb per il telemarketingselvaggio. Offerte promozionali fatte utilizzando i nominativi contenuti negli elenchi telefonicipubblici, forniti da società di servizi informatici, specializzate nel settore delle banche dati. La Corte di cassazione, con la sentenza 17143, respinge il ricorso dell’operatore telefonico contro la sentenza con la quale il Tribunale di Milano l’aveva condannata a pagare 300mila euro per aver utilizzato, nonostante fosse a conoscenza dell’origine irregolare dei dati, oltre 14 milioni di nominativi.

La vicenda ha preso il via, dopo innumerevoli segnalazioni al Garante della privacy, da un’attività ispettiva eseguita dall’Autorità presso la società e i suoi call center. Dal controllo era emerso che i dati utilizzati provenivano da elenchi telefonici formati prima dell’agosto 2005, rispetto ai quali era stato disposto dal Garante (26 giugno 2008) un divieto di trattamento. Il tutto senza che la società telefonica avesse fornito la prova di aver inoltrato un’informativa per chiedere il consenso degli interessati.

Il Garante aveva agito prima con un provvedimento inibitorio e successivamente con la sanzione, giustificata anche dall’avere commesso le violazioni contestate in relazione a una banca dati di particolare rilevanza e dimensioni (articolo 164-bis, comma 2 del Codice sulla protezione dei dati personali). Fastweb dal canto suo contestava, tra l’altro: l’interpretazione restrittiva del diritto comunitario, i tempi eccessivi del procedimento sanzionatorio e la violazione del principio del ne bis in idem per il cumulo delle sanzioni.

Ma anche su quest’ultimo punto la Cassazione sposa la linea del Tribunale. I giudici ricordano che, in tema di illeciti amministrativi stabiliti dal Codice della privacy (Dlgs 196/2003), la fattispecie prevista dall’articolo 164-bis, comma 2, non costituisce un’ipotesi aggravata rispetto a quelle semplici richiamate dalla norma, ma una figura di illecito del tutto autonoma.

I giudici precisano che in essa si prevede la possibilità «che vengano infrante dal contravventore, anche con più azioni ed in tempi diversi, una pluralità di ipotesi semplici, però unitariamente considerate dalla norma con riferimento a banche dati di particolare rilevanza o dimensioni». Nel caso di concorso di violazioni di altre disposizioni oltre a quella in esame, consegue dunque - afferma la Cassazione - un ipotesi di cumulo materiale di sanzioni amministrative.

La Suprema corte distingue il trattamento di dati personali, per quanto numerosi e aggruppati, dalla gestione e dal trattamento di intere banche dati di grande consistenza, per la quale scatta un illecito del tutto autonomo, sanzionabile «in modo proprio con la previsione di una diversa forbice comminatoria».

Non passa neppure la censura contro un trattamento più severo di quello previsto dalle norme comunitarie.

La direttiva 2002/58/Ce, relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche, lascia agli Stati membri la libertà di disporre che sia chiesto un consenso ulteriore degli abbonati per tutti gli scopi di un elenco pubblico diversi dalla ricerca di dati su persone in base al loro nome e, se necessario di altri elementi di identificazione.

La norma invocata dal ricorrente era dunque a due vie e l’Italia - sottolineano i giudici della Prima sezione - ha fatto la sua scelta. L’articolo 12 della legge 306 del 2003, che prevede il consenso, indica chiaramente che il legislatore nazionale è «proiettato verso una tutela forte e prevalente della persona rispetto a quella dell’impresa».

Nulla da fare anche per lo sforamento dei tempi di decadenza di 90 giorni fissati per le sanzioni amministrative. Un termine “elastico” quando l’accertamento riguarda violazioni complesse. In tal caso, spetta al giudice di merito valutare la ragionevolezza dello “sforamento” in relazione alla complessità delle indagini.

Il giudice dovrà individuare «il dies a quo di decorrenza del termine, tenendo conto della maggiore o minore difficoltà del caso concreto e della necessità che tali indagini, pur nell’assenza di limiti temporali predeterminati, avvengano entro un termine congruo essendo il relativo giudizio, sindacabile, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione». Nel caso esaminato, il giudice ha verificato «l’intrinseca complessità e l’estrema delicatezza» dell’attività svolta.

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