Investimenti degli operatori finanziari esteri nel nostro Paese con meno ostacoli fiscali. Con la pubblicazione del decreto del ministro delle Finanze del 9 agosto nella «Gazzetta Ufficiale» di ieri è stata , infatti,aggiornata la lista dei Paesi cosiddetti «white list» secondo quanto previsto dall’articolo 6, comma 1 del decreto legislativo 239/1996. E nella white list entrano Paesi che fino a qualche anno fa venivano considerati “opachi”, come, solo per citarne alcuni, Svizzera e Liechtenstein.
Il decreto 239/1996, che di fatto ora viene integrato con la nuova lista, stabilisce la non applicazione dell’imposta sostitutiva sugli interessi, premi e altri frutti delle obbligazioni e titoli similari, pubblici e privati, percepiti da soggetti residenti in Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni. La nuova lista conta più di 120 Paesi (si veda il grafico a fianco) che sono quasi il doppio della precedente che ne contava meno di 70.
Il provvedimento ha due effetti immediati. Il primo consiste nell’allargamento del novero dei Paesi ai cui residenti sarà permesso di investire in obbligazioni pubbliche e private senza essere soggetti all’imposta sostitutiva sugli interessi prevista dal decreto 239/1996.
Il secondo effetto comporta l’ampliamento del mercato dei capitali per i soggetti pubblici e privati, non limitato alle obbligazioni, ma anche ad altre forme di finanziamento: ciò grazie ai rinvii a questa lista presenti nell’ordinamento tributario, inseriti negli anni sempre per esentare i residenti in queste giurisdizioni dalle ritenute sui redditi di capitale. Solo per fare un esempio, si pensi ai fondi sovrani dell’Arabia Saudita o del Qatar e alle banche svizzere, che potranno da ora investire non solo nei titoli del debito pubblico ma anche in obbligazioni emesse da soggetti privati (banche o società non finanziarie che siano).
Inoltre questi investitori non saranno soggetti a ritenuta né sui proventi derivanti dalla partecipazione a fondi comuni o Sicav di diritto italiano (articolo 26-quinquies, Dpr 600/1973), né su operazioni di prestito titoli o di pronti contro termine (articolo 26-bis, Dpr 600/1973).
Va considerato, poi, l’aumento delle possibilità di finanziamento a medio e lungo termine, previste dal comma 5-bis dell’articolo 26 del Dpr 600/1973, per le imprese italiane qualora pervengano da investitori istituzionali esteri (per esempio i fondi di credito). Forse è proprio questo secondo effetto quello che potrà rivestire maggiore importanza in una fase di credit crunch come l’attuale.
Il decreto è frutto degli ultimi e molteplici accordi sullo scambio di informazioni stipulati anche all’indomani della voluntary disclosure. Il provvedimento permette a banche, assicurazioni, fondi di investimento esteri come quelli di Svizzera, Federazione russa, Libano, Liechtenstein, Hong Kong e Isole vergini britanniche (solo per evidenziare le novità più eclatanti) di poter essere considerati per questi investimenti Paesi White.
Il ministero, però, si è riservato un diritto di controllo sull’effettività degli accordi di scambio di informazioni con tutti i Paesi appartenenti alla nuova lista. Infatti, in caso di reiterate violazioni dell’obbligo di cooperazione amministrativa tra autorità competenti, qualora non risulti assicurata nella prassi operativa l’adeguatezza dello scambio di informazioni, l’Italia potrà cancellarli dalla lista.
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