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Addio a Labranca, scrittore geniale che ci ha insegnato la serietà…

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morto a 54 anni

Addio a Labranca, scrittore geniale che ci ha insegnato la serietà del pop

È arrivata da poco la notizia della morte di Tommaso Labranca, a 54 anni, e non è ancora chiaro se si sia trattato di malattia o di suicidio. Ma del suicidio nessuno si stupirebbe: un po’ per il tipo di vita che ha fatto e un po’ per ciò che ha scritto soprattutto negli ultimi anni. Per quelli come me, nati all’inizio degli anni Settanta, Labranca è stato, all’inizio, l’autore di due libri geniali usciti nei Novanta, Estasi del pecoreccio (1995) e Chaltron Hescon (1997).

Erano geniali perché Labranca faceva il contrario di ciò che ci avevano insegnato a fare a scuola e all’università: da un lato prendeva molto sul serio le cose pop (TV, cinema di serie B, canzonette, fumetti), e ne parlava con ironia e intelligenza e in più con uno stile magnifico, lontano anni-luce dai birignao demenziali dei semiologi; dall’altro trattava la cultura “seria” con un’indipendenza di giudizio che per noi vittime del liceo classico e della facoltà di Lettere aveva una autentica forza liberatoria.

Labranca prendeva in giro tutti, gli elzeviristi pensosi, i romanzieri impegnati, i peracottari dell’arte contemporanea, ma soprattutto ce l’aveva con la Cultura, cioè con la retorica idiota che avvolgeva e avvolge, specie in Italia, il discorso sulle arti. Labranca rideva là dove gli altri indossavano la loro maschera compunta, indovinava il grottesco là dove gli altri credevano di vedere il sublime. Il sottotitolo del saggio Chaltron Hescon, Fenomenologia del cialtronismo contemporaneo è un buon compendio della sua intera opera, e anche una sintesi preveggente dei vent’anni che sarebbero seguiti.

Vent’anni nei quali la voce di Labranca si è sentita poco, molto meno di quanto sarebbe stato giusto (per lui) e salutare (per noi). I suoi libri successivi, alcuni bellissimi (il saggio-memoir Il piccolo isolazionista, il romanzo Haiducii), sono stati pubblicati da piccoli editori; gli ultimi se li è pubblicati da solo. Per vivere, ne ha scritti parecchi “servili”, sulle star del cinema e della canzone (Michael Jackson, Taricone, Zero, i Coldplay), e ha fatto l’autore radiofonico e televisivo.

Non l’ho mai incontrato, ma dai suoi libri (l’ultimo, Vraghinaroda, sfotte sanguinosamente la Milano degli artisti e dei galleristi), dalle interviste e da quello che si sente in giro doveva avere un carattere molto difficile, refrattario ai compromessi, acrimonioso, censorio. Il che non giustifica in alcun modo, dato il suo talento eccezionale, l’ostracismo che la cultura (cioè la Cultura) italiana gli ha inflitto. Vedo che nei ricordi in rete lo si incasella nella categoria del “trash” o dei “cannibali”, ma sono etichette del tutto inadeguate: chi leggerà o rileggerà i suoi libri vedrà che Labranca è stato un grande scrittore, non categorizzabile, e soprattutto uno degli italiani più intelligenti della nostra epoca.

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