Il Messico si conferma un paese all'avanguardia nel panorama cinematografico mondiale. La conferma giunge da Jorge Michel Grau e dal suo «7.19 AM» passato in queste ore alla Festa del cinema di Roma. In cui dimostra di saper abbinare una mano ferma e sicura alla capacità di intrecciare piccole e grandi storie.
Incubo di macerie senza effetti speciali
Sono le 7.19 del mattino appunto. È il 9 giugno 1985 e Città del Messico sta per essere devastata dalla più disastrosa scossa di terremoto registrata fin qui. Un sisma che si lascerà dietro migliaia di morti e centinaia di edifici crollati. In uno di questi, il segretariato della Cultura, il 43enne regista messicano ambienta l’intera vicenda. Affidando ai due protagonisti - Martin Soriano, addetto alla sicurezza alla soglia della pensione e Fernando Pellicer, general manager della struttura governativa - il compito di portarci in un incubo di macerie e polvere. E di farci restare intrappolati con loro per quasi 90 minuti. Senza abuso di effetti speciali e con una padronanza di tecnica cinematografica che lascia sbalorditi.
Piano sequenza spettacolare
Basterebbe il piano sequenza iniziale che ci accompagna dall’apertura delle porte al crollo dell'intero palazzo per consigliarne la visione. Per capacità di muovere la macchina da presa siamo dalle parti di Martin Scorsese e Brian De Palma. Un espediente funzionale ad accompagnare lo spettatore dal fuori al dentro che non risulta mai fine a se stesso. Anche perché ben presto lascia il posto a inquadrature ferme, buie, scarne, soprattutto primi e primissimi piani dei due alter ego e pochissimi movimenti di macchina. Condendo il tutto con le voci fuori campo degli altri sopravvissuti che accentuano il pathos complessivo. Fino all'epilogo finale che riporta la luce e l'ossigeno negli occhi e (nel petto) dello spettatore.
Affresco del Messico con ironia
Ma il pregio maggiore di «7.19 AM» è quello di non sembrare mai un esercizio di stile. Come poteva essere invece per film che allo stesso modo avevano scelto di puntare tutto sul senso di claustrofobia e di angoscia del pubblico, si pensi a «World Trade Center» o «Buried». Grazie anche all’ironia che interviene al momento giusto e che trasforma lo scontro tra due persone così diverse in un incontro. Oltre che in un affresco del Messico del recente passato. In cui burocrazia e corruzione sono andati spesso a braccetto. Per la gioia di potenti stranieri e potentati locali.
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