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L’Ape social non riduce la pensione

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GUIDA ALLA LEGGE DI BILANCIO

L’Ape social non riduce la pensione

Dall’anno prossimo i lavoratori con almeno 63 anni di età e 20 di contributi potranno smettere di lavorare fino a 3 anni e 7 mesi prima rispetto al raggiungimento della pensione di vecchiaia. Nel periodo che intercorre tra l’ultimo stipendio e il primo assegno previdenziale potranno contare su un prestito erogato con cadenza mensile, che poi sarà restituito in vent’anni a partire dal pensionamento vero e proprio.
Per rendere più flessibile il sistema previdenziale definito dalla riforma del 2011, il disegno di legge di Bilancio 2017 introduce l’anticipo pensionistico (Ape) declinato in tre versioni: volontario, aziendale e social. Nei primi due casi il sistema si basa su un prestito a carico e a beneficio del lavoratore, erogato da una banca e accompagnato da una polizza che garantisce la restituzione dell’importo in caso di premorienza.

L’assegno anticipato sarà esentasse e il relativo importo, parametrato alla pensione ipotetica calcolata al momento in cui si smette di lavorare, potrà essere scelto dall’interessato in un arco minimo e massimo che sarà definito con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri. La pensione vera e propria, invece, sarà decurtata della rata di restituzione del prestito, del costo della polizza e del prelievo fiscale, anche se sarà riconosciuto un credito di imposta pari al 50% degli interessi sul prestito e sul premio assicurativo. I soggetti erogatori del finanziamento e della polizza, nonché le condizioni degli stessi, saranno oggetto di un accordo quadro con i ministeri dell’Economia e del Lavoro.

Seppur ancora diversi aspetti debbano essere definiti con provvedimenti futuri e nelle scorse settimane il governo abbia fatto sapere che il costo dell’Ape volontaria dovrebbe essere pari a circa il 4,6% della pensione per ogni anno di anticipo, i calcoli contenuti nella tabella pubblicata sopra a questo articolo evidenziano il rapporto tra l’importo dell’anticipo e quello della pensione a regime. Se si chiede un anticipo troppo consistente, e lo si chiede troppo presto, si ottiene una drastica riduzione del reddito netto percepito al pensionamento definitivo. Se si chiede troppo poco, invece, si ha da subito un’Ape molto più contenuta rispetto al reddito netto percepito in attività di servizio (e meno variazioni al pensionamento). Questi effetti aumentano al crescere del reddito percepito.
Nella versione aziendale l’Ape consente al datore di lavoro, agli enti bilaterali, ai fondi di solidarietà di versare dei contributi aggiuntivi a favore del lavoratore al momento di richiesta dell’anticipo, in modo da aumentare l’importo della pensione. Per il resto il meccanismo è uguale.
Completamente diversa, invece, è l’Ape social, perché non si basa su un prestito da restituire, ma è una prestazione assistenziale che viene erogata dallo Stato fino alla decorrenza della pensione, il cui importo di conseguenza non sarà ridotto.

L’Ape social, che avrà un importo uguale alla futura pensione ma comunque non superiore a 1.500 euro, verrà riconosciuta a determinate categorie di lavoratori con almeno 63 anni di età e 30 di contributi: disoccupati che hanno terminato gli ammortizzatori da almeno 3 mesi; chi assiste da almeno 6 mesi coniugi o parenti di primo grado conviventi con grave handicap; sono portatori di handicap con riduzione della capacità lavorativa di almeno il 74 per cento. Ape social anche a chi ha 63 anni di età e 36 di contributi e ha svolto negli ultimi sei anni una di queste attività: operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici; conduttori di gru, di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni; conciatori di pelli; conduttori di mezzi pesanti, camion, treni e personale viaggiante; infermieri e ostetriche impegnate su turni; addetti all’assistenza personale di non autosufficienti; professori di scuola pre-primaria; facchini e spostamento merci; addetti alle pulizie non qualificati; operatori ecologici.

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