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Tutta la letteratura a portata di papero

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Tutta la letteratura a portata di papero

Nell’aprile del 1949 usciva in Italia il primo numero del «Topolino» formato “libretto”, che ogni settimana possiamo ancora regolarmente comprare in edicola. Tantissimi bambini hanno probabilmente imparato a leggere, appassionandosi a storie avvincenti, proprio sulle pagine di questo fortunatissimo fumetto. Ma non solo a leggere, anche a conoscere. Sì, perché da sempre «Topolino» rappresenta una straordinaria enciclopedia del sapere, grazie al talento, alla cultura e alla competenza degli autori che si sono dedicati a raccontare le storie dei celebri personaggi Disney. Ed è sempre bello poter ricordare che fra i migliori scrittori e disegnatori delle avventure apparse su Topolino ci sono tantissimi artisti italiani. Storia, scienze, geografia, musica: quante cose generazioni di lettori hanno appreso nel periodo della giovinezza proprio grazie all’incontro con storie non soltanto divertenti, ma anche accurate dal punto di vista della documentazione. E poi ci sono i grandi classici della letteratura. Proprio sui numeri dal 7 al 12 del nuovo formato di «Topolino» (che come pubblicazione esisteva in Italia fin dal 1932) venne pubblicata, tra l’ottobre del 1949 e il marzo del 1950, la prima grande parodia italiana, L’inferno di Topolino, opera del geniale Guido Martina (si tratta di un vero e proprio poema in terzine dantesche), illustrato da Angelo Bioletto. Chissà quanti bambini avranno imparato ad amare Dante attraverso questa lettura, prima ancora che sui banchi di scuola. Da quel momento in poi numerose altre parodie sono state realizzate dagli autori italiani, dal Don Chisciotte all’Orlando Furioso, dall’Odissea ai Promessi Sposi.

Negli ultimi anni le parodie Disney hanno conosciuto una rinnovata fortuna grazie al lavoro svolto da due poliedrici artisti, lo sceneggiatore Bruno Enna e il disegnatore Fabio Celoni, che hanno realizzato le versioni disneyane di Dracula di Bram Stoker e de Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson. Due lavori brillanti e originalissimi, che tuttavia riescono a non tradire mai lo “spirito Disney”, e che per questo hanno ricevuto numerosi riconoscimenti. Non è impresa di poco conto, infatti, riuscire ad affrontare le impegnative tematiche contenute in questi testi attraverso sensibilità, linguaggio e immagini adatte ai lettori di Topolino. L’impresa è ora nuovamente riuscita, grazie anche al notevole apporto ai colori di Luca Merli, con la parodia di Frankenstein di Mary Shelley (per l’occasione diventato Duckenstein di Mary Shelduck), che ha visto la luce sui numeri 3179 e 3180 del 2016, usciti in concomitanza con l’edizione appena conclusa di «Lucca Comics & Games».

Si diceva che su «Topolino» si è sempre imparato e si continua a imparare molto, grazie al lavoro di documentazione effettuato dagli autori. Ed è così anche in questo caso. Si tratta, infatti, di una delle trasposizioni del Frankenstein più fedeli al romanzo originale, pur nella libertà, naturalmente, di proporre un epilogo della storia diverso e meno drammatico (ma non meno ricco di significato e di spunti di riflessione). Dunque un testo consigliato ai lettori di tutte le età, e magari proprio da leggere insieme in famiglia, per discutere e confrontarsi. Si scoprirà, quindi, che la storia incentrata su Victor Frankenstein, lo scienziato d’origine ginevrina ossessionato dal sogno di infondere la vita in un corpo inanimato, non inizia nelle stanze di un laboratorio dotato di apparecchiature atte a imbrigliare l’elettricità, ma con una serie di lettere scritte alla sorella Margaret dal capitano Robert Walton, alla guida di una nave con l’obiettivo di effettuare delle ricerche scientifiche al Polo Nord.

Certo, nel Duckenstein i protagonisti della storia sono i paperi, e in questo caso il nostro capitano Ciccio Walton scrive alla “nonnina”, e non alla sorella, ma la sostanza non cambia. L’impostazione è corretta e il racconto si sviluppa tenendo fede a tutta una serie di particolari, che certo ora non possiamo dettagliatamente elencare, presenti nel testo di Mary Shelley (la cui prima versione, ricordiamolo, uscì nel 1818). Il tema del viaggio era particolarmente importante per l’autrice del Frankenstein, la quale fin da piccola aveva avuto l’opportunità di restare incantata dai versi de La ballata del vecchio marinaio di Samuel T. Coleridge, abituale frequentatore della casa del padre, e citato in più di un’occasione nelle pagine del romanzo. Non è soltanto la letteratura di viaggio a fornire ispirazione a Mary Shelley, ma anche numerose discipline scientifiche. Discipline che, correttamente, vengono descritte anche nella parodia disneyana, a partire dal momento in cui Victor von Duckenstein, recuperato da Ciccio Walton tra i ghiacci dell’artico, comincia a raccontare la sua storia, che inizia con la nascita a Napoli (proprio come nel romanzo). Troviamo dunque il giovane Duckenstein impegnato a studiare «i testi di Anatro Magno, che fondevano magia e studio sperimentale» e di «Papercelso, alchimista certo di poter animare l’inanimato». Dietro questi nomi si celano due grandi protagonisti dello studio della natura nel Medioevo e nel Rinascimento, Alberto Magno e Paracelso, esplicitamente citati da Victor Frankenstein fra le sue letture giovanili. Si, perché nel romanzo, diversamente da quello che viene mostrato nelle varie versioni cinematografiche, più che con l’elettricità (che ovviamente ha un ruolo importante nella storia), il giovane Frankenstein si era trastullato con la magia e l’alchimia. Successivamente, iscrittosi all’Università di Ingolstadt, Victor incontrerà due docenti, Krempe e Waldman, che avranno un’influenza decisiva nello sviluppo delle sue ricerche, facendogli comprendere l’inutilità dei precedenti studi alchemici. Allo stesso modo Duckenstein, giunto a Ingolstadt per volontà dello zio Paperon von Paper, entra in contatto con il professor Archrempe e il professor Picoldman, che lo indirizzano verso le meraviglie e la potenza della scienza, rafforzando in lui la speranza di poter realizzare il suo sogno: «Papercelso? Anatro Magno? Ogni istante passato su tali libri è irrimediabilmente perduto. Nessuno ti ha detto che le fantasie di cui ti nutri sono ammuffite e decrepite? Dov’è l’anatomia? Dove sono le ossa e i muscoli? Mancano le basi! Manca la disciplina scientifica». La lettura di Duckenstein perciò conferma, come recita la frase finale della storia, che non bisogna «mai smettere di guardare il mondo con gli occhi di un bambino», soprattutto se possiamo imparare così tante cose da una bella e riuscita parodia. Per questo motivo, meglio continuare a leggere Topolino, piuttosto che fare affidamento su altri canali di informazione, spesso inaffidabili.

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