Dai server mondiali che custodiscono miliardi di dati a un micro-server privato, low cost e più veloce della media. La startup bolognese Cubbit si sta affacciando sul mercato del cloud con un prodotto di nicchia: un server domestico per trasferire “sulla nuvola” i contenuti dei propri hard disk, creando uno spazio cloud personale in alternativa ai data center delle multinazionali. I vantaggi? Alessandro Cillario, cofondatore dell’azienda, ne sottolinea soprattutto due: privacy e rapidità nei trasferimenti. «Garantiamo la privacy assoluta dei nostri utenti, perché nemmeno noi possediamo le loro password, e la velocità di trasferimento è fino a 10 volte superiore a quella del cloud tradizionale» dice Cillario, aggiungendo che l’obiettivo è quello di lanciare il primo «primo cloud ad impatto zero» sulla piazza.
Finora la startup si è retta su un finanziamento di 25mila euro del Premio nazionale innovazione, in aggiunta ad altri 20mila euro raccolti di tasca propria dai fondatori mettendo in affitto un appartamento sul portale Airbnb. Ora è in arrivo un round da un «importante fondo di investimento italiano», anche se l’azienda non ha rivelato al Sole 24 Ore né la somma né il nome degli investitori. Modello di business? Il target futuro è il mercato del cloud storage tradizionale, con un’offerta incentrata su un rapporto appetibile di prezzo-qualità: «Più spazio in cloud utilizzi, meno paghi – riassume Cillario – Si va dai 2,49 euro al mese per un terabyte (un’unità di misura sulla quantità di dati, ndr) di spazio cloud per scendere a 99 centesimi al mese per 4 terabyte».
I costi sono resi competitivi anche dal fatto che la tecnologia di Cubbit è al 100% software. Il cliente si deve limitare a installarlo, senza le spese per dispositivi hardware che si potrebbero attendere da un «kit» per il salvataggio di dati. L’azienda prevede uno sbocco di lungo termine nel mercato del B2B, magari tra i player delle telecomunicazioni in cerca di soluzioni personalizzate per la clientela: «Una volta testato, Cubbit sarà particolarmente appetibile per le società di telecomunicazione, che potranno inserirlo all’interno del proprio router fornendo un servizio aggiuntivo per i propri clienti e un utile strumento di lock in» spiega Cillario. Nell’immediato, però, c’è anche un pubblico più generale: gli utenti che cercano di custodire o riutilizzare i propri dati, ma diffidano delle condizioni offerte dai colossi del settore. «I primi a cui possiamo rivolgerci sono i milioni di italiani che hanno a casa almeno un hard disk che al momento è inutilizzato e chiuso in qualche cassetto a prendere la polvere – dice Cillario - Con noi potranno invece dargli una nuova vita».
Cubbit parte in svantaggio rispetto alla grande disponibilità di servizi cloud, come certifica il boom di startup del settore (si legga sopra) e l’occhio vigile dei big per tutto quello che fermenta tra le imprese innovative.
Ma i margini di crescita ci sono, soprattutto per chi è in cerca di un cloud shift di “compromesso” tra qualità e costi: «Basti pensare che solo il 3% degli utenti passano dal servizio gratuito a quello a pagamento – dice - È un’enorme finestra di opportunità per chi vuole offrire un cloud più performante ed economico».
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